La fine di un inganno

 

 

Questa sera posso dirti tante cose,

il cielo ha tante stelle luminose e

provocanti vorrei dirti ma che dire?

 

Sei odiosa e bugiarda persino

I tuoi occhi sono offuscati, ti odio

no ti amo che mistero la vita, si mi manchi

conosco l’amore ma come si odia?

 

Come posso non pensarti, il sorriso dolce

la pelle di velluto le mani che toccavano

il mio corpo con sapienza, lasciva e dolce

che ingannevole e falsa la tua felicità.

 

L’inganno è come un boia lui non odia

ma uccide il corpo e tu sarai sua

complice poiché  tu laceri la mia anima,

eppure posso e devo amarti.

 

 Strappo le stelle offusco la loro luce le

nascondo le calpesto grido e le mie urla

strazianti si ripercuotono in un eco infinito

ma tu non ascolti,maledetto destino

che sarà dunque di me e dei miei sogni?

 

La rabbia, l’ira, l’odio, il rancore albergano

nel mio cuore? No sono inerme,inconsapevole

 ti amo e tu non vuoi e allora  che il carnefice

si adoperi e svolga il suo compito,

 

 tu amore hai già concluso la tua perfida opera,

sono, anzi ero il tuo futuro

e adesso non sono che un’ombra

nella dispensa dei ricordi.



LA MIA VITA D’OMBRE

Sempre la tua voce

guida la mia nave

fuori del mare oscuro

e nella tua luce

la triste gitana

si tuffa nella marea

che innalzi trasparente.

 

Nella tua alba

sussulto sul ponte

e fuggo lo scempio

della muta notte

e la mia vita d’ombre

dirada nel volo

delle tue ali fruscianti.

 

In te veleggio

nel cielo delle stelle

come un’ape

sui pollini colmi

d’ignoto respiro

quando l’eternità si apre

nell’ansimare del vento.

 

31.07.2013 Stefany Martinelli



La Tempesta

Un  vento freddo e ostile ulula lacerando

il  silenzio evocando cattivi presagi,

gli oggetti  mossi dal vento cambiano posto inquieti

e nervosi,  si spostano in ogni dove ed io assisto

impassibile al loro vorticoso movimento.

 

Una miriade di piccoli oggetti  giocano rincorrendosi     

spinti dal vento, 

sorridendo partecipo al loro gioco

sono spassosi e irreverenti,

imprevedibili e dispettosi e strappano sorrisi veri.

 

La finestra sbatte impietosa, lo scroscio violento

del mare e le luci lontane si nascondono e ricompaiono,

rendendo mistico e tetro il paesaggio, la mia ansia

si affievolisce quando il mio sguardo si posa

sul tuo ritratto amore,

 

 sorridi e sembri non curarti

della tempesta e  il tuo volto rassicurante

 rabbonisce  il fervore degli elementi,

si odono solo i battiti del mio cuore,

 

non ricordo più la tua voce, le tue tristezze, le tue gioie

..mi resta solo un tuo sorriso, quello impresso sulla

tua foto, l’ultimo, e gioioso ma procura

dolore e nostalgia e il vento impietoso

urla il tuo nome riaprendo vecchie ferite e vecchi rimpianti.

 

 



Presagio

 

Cosa sarà del plumbeo cielo

dell’aria una volta tersa ora

celata da una cappa di oscura

incertezza, come a raccontare

di un presagio annunciato di folli

razzie dell’essere che  in nome

dell’intelletto ha capovolto l’ordine

naturale delle cose, sabotando la vita

e annullando quel magnifico

 capolavoro che ha arricchito il nostro

 cuore e riempito

di gioie tanto piccole quanto grandi,

la nostra esistenza.

Si è persa la ragione e con essa la coscienza

 del domani, del futuro di chi verrà e

  poche sono le speranze di inculcare

agli  esseri che vivono

sul nostro piccolo è strano pianeta

la strana legge della reciprocità , quando

essa cesserà  la vita non

potrà e non sarà più possibile.

 

 

 



Il villan si lava i piedi

In questo afoso caldo caldo dell’estate mentre patisce il corpo quasi sfatto e pur la mente par perder i pensieri a rinfrancar il primo e quella attenta ritornano i ricordi: voci suoni care figure di un tempo non perso non dimenticato di estati afose calde e di un tempo antico. Ed ecco ritorna viva presente la memoria: si lava i piedi il villan sul limitar dell’uscio suona la campana del vespro in lontananza e poi quel gracidar nel fosso della rana scende la notte  danza la lucciola tra l’erba e Lilla e Dora cagnoline abbaiano alla luna  io fanciullo al sibilar delle zanzare sogno.



Il Barbone

 

Il barbone.

 

Che venga il nuovo giorno,

sono pronto,

collerico  e arrabbiato,

 furente e odioso,

vedrò ancora inerme la macabra

esecuzione di un altro

brandello della mia esistenza.

 

Sono vittima o carnefice,

sono forte o fragile

non so ma vivo come non vorrei,

ho tutto o forse no,

la mia anima reclama la sua parte,

il mio cuore

scalpita insofferente stanco e

sembra volermi  abbandonare.

 

Nel mentre dei miei pensieri

scorgo provenire

una figura dalla foschia

accecante di una mattina

uggiosa e malinconica, chi sarà mai?

procede lenta e decisa,

si ora riesco a distinguere.

 

Il suo passo è interrotto

di tanto in tanto da un

fremito mi si avvicina si ferma

e mi osserva con un

sorriso copioso e veritiero,

ne sono quasi irritato

è forse uno sguardo denigrante?

No è sincero e nel

tenersi a distanza quasi  

a rispettare il mio decoroso

e composto assetto mi sorride.

 

Mi guarda con dolcezza e

con una comprensione

degna  solo dei grandi uomini e

sento che scruta nella

mia anima svuotandone il contenuto,

chi sarà mai costui?

Si certo è un barbone,

ma ne sono colpito è

tanta la sua serenità.

 

Mi parla confondendo la sua voce

con i piccoli fruscii

di questa strana mattina

e nel sorridere

esclama: che la gioia ti accompagni

i miei laceri abiti

la mia affannosa ricerca di quanto

occorre al mio corpo per vivere

mi rendono complice

di chi usa me come pretesto

per tacitare la propria coscienza,

io sono lo scopo

tu sei il malinconico gaudente.

 

Raffaele Feola Balsamo