I vecchi e i giovani (1913)
iv. I vecchi e i giovani (1913)
La scoperta tragicità della vita assume proporzioni più ampie nel romanzo “I vecchi e i giovani” (1913), dove i molti personaggi della storia provano tutti un insormontabile disagio verso gli artifici della società, tanto che il contrasto, tra la profonda coscienza dell’essere e la maschera posticcia, si moltiplica all’infinito.
La ricerca di una verità assoluta viene, dunque, rappresentata nel dramma psicologico di una folta serie di personaggi, nelle problematiche di uomini falliti, offesi, estraniati e invano protesi a colmare la distanza tra il proprio io e l’immagine sociale, la forma assunta.
Davvero l’insufficienza e la provvisorietà dei mezzi espressivi, provoca un nuovo e indicibile dolore, e la mancata partecipazione e integrazione, sul piano della comunicazione e della comprensione, apre abissi infiniti tra gli uomini e i loro drammi segreti.
A questo vorticoso precipitare nel baratro del nulla, resta indifferente ed estraneo solo don Cosmo Laurentano che, interrogandosi sull’origine del mondo, ha scoperto l’assenza di una causa prima, l’inesistenza di una successione ordinata e causale degli eventi, motivo per cui la logica gli appare come gratuito esercizio verbale.
La visione di un immenso ed infinito universo, al cui confronto , i pensieri e i sentimenti degli uomini si riducono a risibili e insignificanti inezie, viene espressa, con toni di alta liricità, nella desolata e realistica riflessione del vecchio Laurentano, che, in effetti è il testimone di un presente senza vivacità, di una realtà nella quale l’individuo rimane stordito e confuso dalla relatività delle certezze e dall’incoerenza degli assunti razionali.
Intorno a don Cosmo si muovono uomini preoccupati, angosciati, delusi, persone incapaci di sentire e di manifestare sentimenti e pensieri, di comunicare dubbi e paure, di stabilire un contatto diretto con una realtà libera dagli artifici della società.
E quando, infine, mette in risalto che la vita è un insignificante spettacolo di marionette, conclude affermando che anche la ragione indagatrice si scopre inadatta a spiegare il susseguirsi degli eventi.
Smentita ogni presunzione di scoprire la verità, smascherata l’insensatezza della fede rimane all’uomo il senso di un indefinibile torpore, una totale indifferenza e un pacifico adattamento, nell’attesa che la storia prosegua il suo corso.
Questa conclusione del romanzo, che individua don Cosmo come il personaggio capace di osservare la vita dal di fuori, è un documento di esasperato scavo psicologico, una sottile e strenua ricerca di una irraggiungibile verità, nella provvisorietà dell’esistenza.