Il turno (1902)
ii. Il turno (1902)
La disarmonia dell’esistenza, gli stridori e i chiaroscuri della vita, già colti nel precedente romanzo, ritornano con maggiore incidenza a sconvolgere i progetti umani, i piani intessuti con calcolata presunzione, i “turni” preordinati da una mediocre e interessata logica della convenienza e della posizione sociale.
Nel romanzo “Il turno” (1902), Pirandello osserva la vita con distacco critico e riflessivo, con quella distanza umoristica indispensabile a scorgere sotto i veli di una regolarità tutta apparente, la mancanza di ogni significativo legame tra gli eventi e a smascherare l’irruenza di accadimenti fortuiti, l’incongruenza logica, per la quale si ritrovano scompaginate le regole più elementari della storia umana e della vita di tutti.
La propensione ironica di Pirandello, nell’articolarsi della narrazione, si costituisce come strumento per osservare, in modo impressionistico, una realtà in cui, sfatate le utopistiche consuetudini e invalidate le mitiche certezze, scompare ogni chiaro e irrefutabile presupposto che garantisca stabile coesione e indubitabile armonia alle sue multiformi e assurde manifestazioni.
Il lungo racconto raffigura una realtà imprevedibile e inesplicabile, un mondo dove le azioni degli uomini sono travolte da circostanze inattese e fortuite, un mondo che, senza più nessi logici e vincoli accertabili, finirebbe per frantumarsi definitivamente, se a cercarne l’ordine continuamente infranto non provvedesse Marcantonio Ravì, che, con buffa scrupolosità, prova a spiegare l’irrazionale, fornendo interpretazioni paradossalmente ragionevoli.
L’eroicomico protagonista si scontra con gli eventi più insoliti, amari o piacevoli, futili o avvincenti, e, attraverso la sua tormentata e mai conclusa ricerca di una possibile logica, nel susseguirsi sempre più disordinato dei fatti, diventa il tramite per scoprire la sostanziale e insuperabile irrazionalità della vita, la disarticolazione della realtà.
È certo che l’assoluta imprevedibilità delle situazioni oltrepassa qualsiasi sforzo sia prodotto dal Ravì per interpretare e comprendere, per fornire una soluzione, un senso agli sbalzi e alle sfasature, evidenti nel sovrapporsi degli eventi.
Ma la sua perseverante e inutile logica lo rende personaggio emblematico, e la sua ostinazione a credere di riuscire ad analizzare l’irrazionale, con i suoi paradossali e inconcludenti ragionamenti, lo emancipa ad essere testimone, senza coscienza, di una impossibile rivalsa della ragione, contro la sostanziale e irriducibile irrazionalità della vita.
Su un piano più generale, il romanzo, ambientato in una Sicilia di fine secolo, è incentrato sulla mediocrità dell’uomo di provincia, un uomo chiuso nei suoi calcoli, vincolato ai meccanismi del piccolo mondo in cui vive, ai costumi di una realtà che annulla e soffoca, lasciando ben poco spazio al soggetto e alla sua volontà di essere e di pensare.
Questi i termini della crisi dell’uomo privo di una consistenza morale e psicologica, vittima di una realtà che travolge e trascina verso un baratro nullificatore, nei meccanismi di un mondo illogico e innaturale, tutto costruito sulla finzione e sull’assenza di valori autentici.
La storia di questo mondo procede secondo una concatenazione di fatti paradossali e grotteschi, fissata da un susseguirsi di eventi stravaganti e ridicoli, che confondono e stordiscono, stravolgendo i taciti accordi e le intese nascoste, stabiliti tra i personaggi coinvolti.
Ed è in questa realtà che i riflessi e le ombre di una sconvolgente e dirompente casualità prorompono sul rigido determinismo della logica, sulla presunzione di poter spiegare e catalogare qualsiasi situazione anomala e non prevista.
Infatti, il caso prevarica ogni aspettativa, provocando una spaccatura, un’incrinatura, ma soprattutto una perdita di senso, una confusione nella quale eventi bizzarri e paradossali sconvolgono i piani previsti.
Il mancato allineamento delle possibili soluzioni e la diversa e paradossale disposizione dei fatti procurano un’amara e dolorosa disillusione ai protagonisti, che, bloccati nella morsa inesorabile di eventi inaspettati, rimangono schiantati, privati della possibilità di potersi determinare.
Il romanzo è costruito secondo i modi di una manifesta teatralità espressionistica, che tende a evidenziare il doloroso vuoto lasciato dal decadimento dell’istituto familiare, ridotto a forma esteriore della rispettabilità sociale, dietro la quale si nascondono affetti insinceri, costruiti con estrema arte sulla menzogna e sul tornaconto personale.
Quello che rimane è un intrico di passioni, di abiette convenienze e di inveterati costumi, di bassi egoismi che spingono i personaggi a confrontarsi e a scontrarsi sul misero terreno delle loro banali e interessate azioni e scelte.
Il tema della famiglia richiama il problema della condizione e del ruolo della donna nella società, anche se in questo luogo della riflessione e del pensiero pirandelliano, esso viene presentato in modo sostanzialmente misurato e bozzettistico, delineato come prima e moderata traccia di una successiva e più ampia considerazione sul tema.