CHE TU SEI …..
Le foglie tremolanti e leggere
cadono senza fare rumore
sulla nuda e umida strada ,
alcune di esse svolazzano oltre
il muro ricoperto da secchi rami di rovi ,
i miei pensieri sono come quelle foglie
che tristemente cadono senza più
ragione d’ esistere o di volare ,
non c’ è più nulla da decidere e
m’ illudo di riuscire a guardare oltre
i giorni della mia coscienza delusa ,
mi illudo che tu sei qualcosa di me ,
che tu sei ……
Ora anche la tua voce è lontana come
è gelido e distaccato il mio respiro
nel freddo e gelido silenzio che opprima
questo esile corpo senza abbracci ,
ancora uno sbaglio nella illusione
della tua evanescente figura ,
ancora uno sbaglio per non voler sentire
la fievole voce del mio disperato cuore,
a voler guardare quella foto di noi due
e m ‘ illudo ancora che tu sei qualcosa di me ,
che tu sei ……
Il dolore per me esiste e non va via ,
non so se tu ricordi ancora il mio sorriso ,
i miei baci , le carezze e gli abbracci
per me sono rimasti nella tua vita
perchè io ero la tua vita ,
non so se tu hai dimenticato
ma a me sembra di sì ,
mi hai sempre ripetuto di guardare
al presente del nostro amore
e io vivevo nelle tue frasi
con questa consapevolezza
di essere una rosa senza spine ,
oggi le uniche lacrime ancora nascoste
rigano il mio volto e dirlo mi fa male
come il freddo silenzio che mi parla di te ,
perchè sei così , perchè ? .
E ancora perchè non sei con me ………..
carmelo ferrè ……12/08/2013
SU UNA DIMENTICATA COLLINA
Mio dolce amore,
quando il sole
morirà per sempre
sul mio corpo stanco,
adagia una rosa
su quel misero sepolcro.
Adagia la tua rosa,
amore mio,
perché la mia anima
possa sciogliersi
in un bagliore
che suonerà d’immenso.
In quel giorno, amore,
nell’istante stesso
che vedrai la lapide
occhi d’oscura gente
ti guarderanno
per capire chi onori.
I più accorti esiteranno
sorprendendosi
alla pioggia di lacrime
che fluirà calda
su quel gelido marmo
nascosto al mondo.
Molti leggeranno stupiti
l’epigrafe di chi
cantò l’amore
e che disfatto vagò
nel labirinto della vita,
cercando la via di Cariano.
“Un poeta”, mormoreranno,
stupiti dall’onore
destinato al sepolcro
che ospiterà
il mio sonno obliato
su una dimenticata collina.
E lì, estraneo a tutti,
dormirò finché
l’alba eterna
vedrà le nostre mani
stringersi per varcare
le accese soglie dell’infinito.
12.08.2013 Ciro Sorrentino
IN QUESTA VELENOSA TELA DI RAGNO
Il mio mondo è un quadro di vuoti ricordi
un mucchio di tremule forme e vite mai germogliate
che fluttuano come metallica trasparenza.
Nello spento braciere affondo le mani cercando
una memoria di carbone ancora vivo
che possa riscaldare la mia triste e nuda anima.
L’infinito arazzo della vita è per il mio cuore
il filo spinato di un invalicabile passo
che mi imprigiona in un terribile limbo di larve.
Ah, quanti spettri sconosciuti mi ostacolano
con la loro rigida e gelida trasparenza
che trapasso senza altro sentire che il freddo.
Anche la speranza si arena su questa riva
dove le memorie non hanno segreti d’ore
né inquieti o fiduciosi istanti di moto da rivelare.
Non c’è piccone che scuota l’arazzo di spine
nemmeno la più affilata lama potrebbe
aprire un varco in questa velenosa tela di ragno.
I suoi fili sono spessi e asfissiano i sogni
che ansimano dissolvendosi in una terribile agonia
che non dà modo di sfuggire all’orrido nulla.
Non sento l’aria né schizzi d’acqua
che possano svegliarmi dall’immonda realtà
che stringe l’acqua in gola e il respiro nel petto.
Ah, oscena vita, tu sei la gabbia
che vieta il moto del cuore macchiandone di nero
il sangue che pulsa in un invisibile corpo.
12.08.2013 Ciro Sorrentino
La Divisa
Sono fiero e gagliardo,
quasi altezzoso,
mi guardo nello specchio,
di fronte, di profilo poi
abbasso la visiera del mio cappello,
e stringo gli occhi quasi a render feroce
uno sguardo che mai avrò,
faccio paura,
il volto distorto si procaccia strane
e inquietanti espressioni.
Che dire del naso
con le sue nari dilatate
quasi a rassomigliare
a qualche eroico e strano personaggio
di qualche buffo fumetto,
sono proprio bello.
Aggancio il mio cordone attorno alla spalla,
e’ di due colori ed ognuno
rappresenta una gloriosa
campagna bellica
certamente del passato,
ma sempre attuale.
Sono quasi pronto,
gli ultimi bottoni si chiudono attorno al mio collo
quasi a suggellare
con rispetto l’arrivo della mia cravatta,
certo smaniosa, ma importante.
Ebbene gli ultimi controlli,
scarpe lucide e calze rigorosamente nere,
i pantaloni la cui riga è spaventosamente retta,
la giacca con le sue spalline dorate,
cosparsa di ricchi e fluorescenti bottoni,
la camicia stirata e impeccabile.
Si, non dimentico nulla, infilo i bianchi guanti
e parto per la mia mission impossible.
Raggiungo la mia postazione e con appariscente orgoglio
mi posiziono sul luogo che mi fu assegnato
all’inizio della mia galvanizzante carriera.
Dio aiutami tu, fa che io trovi degne persone,
che sappiano apprezzare il mio grado e siano generose,
noi portieri d’albergo esterni siamo spesso
incompresi e mal ricambiati,
le mance scarse rendono infausto l’orgoglio
di vestire una uniforme di alto lignaggio
e ne abbatte la voluttuosa immagine.