L’incompreso dolore.

L‘incompreso dolore.

 

Vorrei amarti,

come si conviene

ad un Dio di tutti i giorni

pieno di ansie e dolori,

fustigato dalle intemperie

di brandelli di anime sole

e assemblate secondo

l’ordine del vivere

e della ragione dell’essere.

 

Voler dire a te o mio Signore

di poter mutare l’ordine delle cose

sarebbe come commettere

nuovamente il peccato mortale,

voler sostuirsi a Colui che ebbe

morte e dolore da uomini

che mai ebbero a capire,

il lacerante dolore delle

tue carni e collocarti ancora

nel dove non si doveva.

 

Signore mio come posso

comprendere ciò che

non mi fu detto,

o che mi venne mal narrato,

il senso di colpa di

una bieca violenza

a cui non potei partecipare,

e come confutare ancora il

dono del tuo sacrificio

a cui destinasti la discesa

negli inferi degli infedeli

e degli irriconoscenti.

 

Grande è il dolore di sentirsi

frustrati e vilipesi,

come doloroso fu

il misfatto che fu dato

a coloro che reclamano

il dono della comprensione,

folle …folle, che

tal pensieri ebbero a sovvertire

gli incantesimi dell’ immolarsi

e dell’abnegazione.

 

Perdona se mi compiango

nell’esser deriso da fatui pensieri,

di esser vittima di amori

insignificanti, la mia colpa e pari

a quella di coloro che non capirono,

e il senno del poi non cancella

le ombre del misfatto,

ma ne celebra l’eterna

consapevolezza

di un irriconoscente giudizio.

 

                                                                                                           Raffaele Feola

 



I vicoli.

 

La pioggia bagna i marciapiedi

il vento freddo purifica la terra

l’inverno è alle porte

il mio occhio rivelatore il  deserto fra le vie.

 

Che lontananza  La musica leggera

aiuta il mio cuore,

come è facile vivere

come sono vecchie le botteghe del centro.

 

Ogni cosa appare diversa

anche i discorsi e i fatti vissuti,

al sorger del sole

si intravidero i vecchi spiriti

del vicolo fra le mura.



La mia vendemmia

La mia vendemmia

 

Poter bramare il cielo,

far parte delle sue

bianche nuvole,

acciuffare con dolcezza

i suoi briosi volatili

mentre a miriadi

vanno altrove

dove luce e caldo

ne allieteranno l’esistenza.

 

Fermare gli ultimi raggi

e scagliarli con forza

nel mio cuore e

tenerli stretti… stretti.

 

Ho desiderio di esser felice,

afferrare i miei sogni,

adesso non ho più angoscia, 

forse il mio autunno è già qui,

 

botti di rovere, odore di mosto,

di allegre pigiate sui catasti

di ricchi grappoli,

 

il volto festoso delle donne

che calpestano felici,

le uve nei grossi tini

e reggono le loro gonne alzate

con civettuola astuzia.

 

Strappare un lembo di pane

e accompagnarlo col rosso

succo dell’armonia,

canti e suoni, risate e rincorse,

non è forse anche costei felicità?

 

Non scorderò ciò che vissi

all’inizio della vita,

ma scorderò quello

che volli dopo,

le scoperte dell’amore

i suoi silenziosi odori,

 

le sue ebbrezze rumorose,

i sogni docili e lievi,

agognati con le mani

riposte dietro la nuca e

sdraiato su letti di fresca paglia,

rimirando il cielo e coltivando

l’assurdo auspicio che quella 

vendemmia non potesse

aver mai fine.

 

                                                        Raffaele Feola

 



L’inizio di un grande amore

L’inizio di un grande amore

 

La breccia in un cielo quanto

turchese quanto immacolato,

i suoi riverberi di luce

sono adescanti,

e mano nella mano ci narriamo,

e nel non dire

i lunghi silenzi parlano di noi,

e godiamo nascondendo

come ingordi gli esaltanti attimi

degli ultimi scampoli d’amore.

 

Siamo come immobili e

nuotiamo in un mare senz’acqua,

lo sconforto dell’arrivo

della accigliata

sagoma della notte,

mette fine alle luci ed ai 

riflessi di un grande affetto

celando le carezze 

e i voraci abbracci

e chissà …

se domani…chissà.

 

La mia donna parla raramente

ed il suo respiro è come

la brezza che si insinua

fra  rami secchi di vecchi alberi

e l’immaginario

volto del Dio supremo che ci osserva,

 ascolta le lontane campane

del vespro, con la sua cesta

colma di mute richieste

in attesa delle invocate indulgenze.

 

Ed io, noi,  non chiediamo

che un mattino ancora,

raccoglier sul palmo della mano

le gocce rosse di una rugiada

d’amore e dirigersi con essa

verso l’eternità, nella notte dei tempi.

 

                                                         Raffaele Feola

 

 



La sciocca che non amò che se stessa

La sciocca che non amò che se stessa

 

Il grigio e il nero sono l’estasi del nulla,

strofino il mio petto contro il tuo,

quando è insanziabile il tuo desiderio,

ti occorre un vero uomo,

sei acidula e dalla poca avvenenza,

chissà il mio volto cosa vedrebbe

se gli obbrobri della mia triste

esistenza avessero il mortificante

terrore di vedere la tua maschera

sgretolata e  dalla futile cattiveria,

pregherò il Signote che ti doni

perlomeno la serenità.

 

Mio signore non far di me colui

che annoia, riempi le vesti delle

melanconiche e striminzite

presenze inquietanti,

come il  perfido animo

di un abbietto essere cosparso

di sangue di rettile e nasi di gufo tritati,

tale miscela forse renderà

un corpo vuoto, pieno di qualcosa,

ricco di contenuti, seppur frustanti,

e chissà se un briciolo d’amore spunti

e un corpo logoro e becero.

 

Povera donna sii felice

e rattoppa il tuo perfido cuore.

Dedico queste sciocche parole

ad una donna sciocca che

mi ha punto il cuore,

ma alcuni esseri vanno perdonati.

 

Non mi firmo ho scritto poco e male

 

 



VOCE DELL’AUTUNNO

 

È davvero ingenuo

sognare l’azzurro

quando il grigio

sopraggiunge sornione.

 

…Presto avanza

 una nuvola nera

che annoia

e più ancora inonda.

 

Svanisce l’eternità

quando il vuoto

tesse le sue trame

in una raggiera di luci.

 

Così il mio spirito

cede stanco

a fulminei artifici

che lo immobilizzano.

 

E per quanto cerchi

fiammanti aurore

  il nero e il grigio

sommergono il tutto.

Ana Valdeger 13/01/2014