Vita …che vita.


Vita …che vita.

L’antica reminiscenza
di arcaiche vibrazioni,
e gradevoli desideri
che pasticcio,
note e toni piacevoli
e quante gioie
nel piangere
e poi ridere
e poi amarci.

Il giullare intona
versi e sorrisi
ma è solo,
nessuno ascolta,
il frenetico mondo
irrita e rimuove l’anima,
sopisce i suoni
e quanta paura.

Il folle non è folle,
è dolce e suadente
e il delirio fluisce
silenzioso nel suo cuore
e strappa la vita,
e la puerpera nasconde il nato
perché teme la vita,
che mestizia.



E giunse la zuppa di cozze, zuppa ..ma solo zuppa.

E giunse la zuppa di cozze,
zuppa …solo zuppa….

E’ dunque giunto l’emaciato sogno,
nessun murmure odioso
e avvilente parossistico sentore,
e come l’onirico desiderio
ne contemplo il sapere,
e generoso cosparge il mio cuore
di voglie pazze e di grandi affetti.

Folle è l’avversa vita
ricca di piccinerie,
mi alletta con chincaglie inutili
ostentandole con forbiti
e succinti abiti,
e mai mai mai sarai un poeta
mio sciocco cuore, volli per te togliere
la maschera ma nulla si può,
fosti ridicolo e tale rimanesti.

Ma lei è una sirena
silenziosa e trasparente,
oramai il mio cuore è stanco
del futile e ingrato soffrire,
è tenero ma forte,
accondiscende ma sicuro,
anche se il suo battito è sempre
più lento e insicuro
son certo che tornerò,
come l’autunno
e poi la primavera e poi l’estate,
e il freddo inverno,
ed innanzi ad un caldo camino
brinderò col calice della speranza,
di poter vivere in un mondo
cosparso di felicità
privo di zuppe e ricco di verità.



Almanacco estivo

Già su cafarnao di albini bruni e ambrati rovente picchia il sole: chi cerca fuoco, chi ombre. Oh i giochi edili dei fanciulli intenti a mimetizzare buche o a fortificare torri e mura all’assalto del fiotto lieve! Più traffico nel canale siculo: barcacce o gommoni stipati di afrofuggitivi speranzosi approdano o sventurati affondano! Là dove non c’è borboglio d’acqua tra mandorli ulivi e querce un iniziatico frinire di cicale turba l’aria che tace; fruscii ratti di serpi tra sterpi e roggi rovi in campestri silenzi risuonano e mettono paura; filari di vitigni ramati infoltiti da trame di tralicci fruttificano su colli e pendii; da bica a bica un via vai di frenetiche formiche tra sottopassaggi e ponti si consuma; gronda sudore nei campi l’uomo in opra attardato tra secchi solchi. Barbagliano vetri di case desolate come gibigiane al dardeggio di fasci di raggi di luce; da asfalto di catrame e pece alza i suoi fumi fatamorgana. Sulla ripa, vicino al rio quando più alto sarà il sole all’ombra di pioppi e platini si andrà a cercare vento frescura e silvani effluvi. S’imbrunirà prima della luna sul mare azzurro e calmo l’argenteo placido tramonto nell’apoteosi del dì passato. Chissà se morte,vacanziera, soffrendo eccessi di caldo a sorpresa non decida di andarsene in ferie o se avvistando spaventapasseri atterrita non si dia alla fuga. Nell’arrovento d’aria dei meriggi madre forse ancor più fresca starai accanto al tuo sposo nell’ipogeo sotto i cipressi..



La mia amata visione.

La mia amata visione.

Che splendor tal visione,
coppia di verde smeraldo
occhi profondi e nel tuo sorridere
quante perle e gocce d’ambra,
ma che volli veder da tal angustiata vita,
se non osservar un paio di pupille che
nel sorridere lacerano e folleggiano
in paradisi sconosciuti e vibranti
e quanti miracoli d’amore, ti amo.



OLTRE I SULFUREI VELI

Prima di ogni risveglio

incontro la tua anima

nella sfumata terra dei dispersi.

 

Ti vedo nelle trasparenze

 prima che la mente

torni a girare come un disco.

 

Nel balenante buio di Sfinge

ti stringo la mano

sento il palpito del tuo essere.

 

Echeggia l’infinito abisso

fantasmatico oracolo

dell’incredibile rivelazione.

 

Così il tuo e il mio mondo

sono fusi nei geroglifici

che i mondi tutti ignorano.

 

La nostra ombra colma il nulla

riempiendo i grigi mulinelli

d’insolite atmosfere di colore.

 

Ad ogni mio risveglio ti cerco

e vado oltre i sulfurei veli

che celano l’iniziale fuoco.

 

Allora il tuo e il mio sogno

viaggiano  tra infinite lune

cercando di nuovo il sacro graal.

 

15.06.2014 Dipartimento di Lettere e Filosofia, prof. ATTILIO BELTRAMI



Che dire fazioso.

Che dire fazioso.

Che il giovane adorni il corpo,
e lesini nel fare e nell’esporre,
io sono attempato,
ma mai ebbi dono
di convertire le cose in cose.

Fui io a dir alle mie
piccole creature,
pargoli inermi,
che al mondo si sorride
con pietose lacrime,
e i gabbiani son neri,
e l’amore è solo carità,
e la morte giunge
prima che nasca la vita.

Dopo la bufera giunge la quiete,
il freddo e poi il caldo,
l’amore e l’amicizia,
quanti doni del buon Dio,
ma non pervengono mai,
perché breve è la vita.

Dunque io non fui
menzognero e fallace,
non dissi discrediti,
che Tu possa convenire
ora mio Signore,
del mio pensiero,
perché fui davvero
sostenitore
del non gabbare.

No,non mi confondo,
son certo del mio sapere,
la vita,che grande imbroglio,
noi piccoli uomini,
svuotati e chiusi come
limacce in piccoli pertugi,
non siamo che meritevoli
di piccoli sorrisi
docili e sinceri,null’altro.

Fui lieto a non aver
Dono del sapere,
ora posso al fine
sperare di scrutare
oltre la grande e ineffabile
oscura umanità,
e dello sciocco sapere.