La mia mamma

La mia mamma.

 

Quella grande veranda

dove trascorsi la mia infanzia, 

colma di verde e strane piante,

su ogni foglia deponevo

un desiderio e non conoscevo il vivere,

ma solo il dopo.

 

Il mio fiore preferito che spesso

la mia mamma irrorava

di bianca acqua,

 divenne poi il simbolo del dolore,

il cuore si avvolse di cupi avvenimenti,

 ella andò via reclamando

l’ultimo abbraccio di un ingrato figlio,

e volle promesse,

tante e tante promesse da me,

ed io non compresi, 

 perdonami se non ebbi sentore.

 

Oggi è la festa della donna, 

tu non sei una donna sei la mia mamma,

io ti amerò fin quando ne avrò forza,

 e perdona se ho smarrito

il senso delle cose, la mia mente vacilla,

aiuta questo tuo figlio ingrato, mamma mia.

 

Foggia 8 marzo 2014



IN CIMA ALLE GRANDI ALPI – dalla raccolta “AMORE ALLO SPECCHIO”

Non gradire le lusinghe

che della lumaca

recano fragili scie

come parole al vento.

 

Non ti fidare

di una coppa piena

di mille bollicine

fugaci e senza respiro.

 

Scorgi le bugie e il dolore

abilmente nascosto

in una collana di perle

che riflette miniature di sole.

 

Se vuoi la mia verità

cerca il silenzio

delle foglie franate

in cima alle grandi Alpi.

 

Guardati nello specchio

di lacrime ghiacciate

e fuggi le grigie onde

che frantumano il tuo cuore.

 

23.02.2014 Ciro Sorrentino



A ciro Sorrentino

Grande e grande sei amico,

leggo e capisco,

ma ti prego dimmi ..se sai cos’è la vita,

dimmi il sapere di tal virtù,

io seguo il cuore,

sii paziente e ama,

e dimmi esiste l’amicizia?

Tutto qui, cosi penso e cosi dico.

 

 



ALITANTI SOFFI – dalla raccolta “AMORE ALLO SPECCHIO”

Inesauribile voce,

sei tu che di tenerezza

ancora echeggi,

sempre gonfiando

le vele del sogno infinito.

 

Ah, vibrante voce,

voce che dello Spirito

l’essenza sei,

lascia il tuo fuoco

sull’anima che attende.

 

Nelle tue corde

parla il Divino

che le terre

da troppo obliate

ravviva con alitanti soffi.

 

Per te ansante vado,

e sorgo come luci

che timide stanno

al vermiglio cerchio

d’eterna virtù radioso.

 

01.03.2014 Ciro Sorrentino



Quanta gioia

 

 Quanta gioia.

 

 

Che brulla terra cosparsa

di nulla e nulla, e nulla ancora,

un cielo, che cielo, cielo grigio

e affamato,

afferra i radi sprazzi

di una luce distorta

e bieca e li acceca.

 

Basta mormora il sapere,

che sia silenzio,

non devo giungere

dove non si comprende,

scappo via mormorò

il fulgido sole,

saprò come e a chi donare

luce e calore,

noi restiamo urlarono

le nere nuvole,

con le nostre acque inonderemo

e inonderemo, inonderemo ancora

la terra donandole

un vestito freddo

e doloroso, aspetteremo

il buio poi andremo.

 

E’sera le stelle son malinconiche,

poca luce e tanta solitudine,

io calo il capo attizzo

un tenue falò,

ma le mie mani restan fredde,

la mente avulsa, il corpo

flaccido ed inerme,

Dio mio quante ombre

vaganti, son tristi e cupe,

io inerme osservo,  

poi alla fine mi aggrego

a loro e inizio il mio cercare,

cercare ancora sempre cercare,

ma Dio mio cosa?

Non so forse il perchè.

 

Quanti cuori immacolati

imperversano i campi aridi,

anime pure e senza colpe

hanno allontanato farfalle

e passeri e lepri e insetti,

il verde non è più tale,

solo giallo e nero, 

e qualche poeta

col suo malinconico

cuore scrive e scrive e scrive

ancora lontani ricordi,

di lontani dolori,

di lontani profumi,

dai amici non biasimate

chi scrive cose tristi,

sappiate osservare,

l’aria è amara, abbiamo ferito

a morte il cuore,

e l’anima fugge via,

ella è stanca a che vale

chiederle perdono,

non può udire, ne vedere,

ne toccare, germoglia gioia

e felicità solo col suo sapere,

a lei non si può mentire, ella sa.

 

Addio amici siate indulgenti

con chi è triste,

con chi ama il nero,

chi genera pessimismo,

l’ipocrisia si cela dove c’è

la falsa felicità,

perdonate la malinconia

e non odiate l’amore.

 

 

 

 

 



LA VERTIGINE TEMPO – dalla raccolta “AMORE ALLO SPECCHIO”

Sovente l’anima

si guarda allo specchio

ma non vede il fuoco

di lazzi e beffe acceso

sul calle del triste gitano.

 

Discinte e lacere

si flettono le chiome

che sono nel vento

sotto un oscurato cielo

di doloroso grigio vestito.

 

Assorto lo straniero

con tremante mano

raccoglie i cocci

dei cuori di cristallo

sulle deserte rive caduti.

 

Sussulta nel respiro

diafano e vago

ma agitato e stanco

cede all’empietà

delle sacrileghe onde.

 

Così sconvolto sprofonda

il cuore guardando

le rovinose pietre

che graffiano il viso

inerme e rosso dell’amore.

 

28.02.2014 Ciro Sorrentino