PERIFERIA .

Giù , negli angoli più bui della notte,
sulle macerie ammalate di ricchezze
sognate nel sonno e mai avute,
dalle tettoie il gatto miagolava senza sosta
e la luna sembrava che dormisse sul serio;
là in mezzo a quelle case affumicate
e pregne di odori nauseanti
avrebbero costruito una caserma,
e c’è chi dice che quel posto fosse stato
scelto perchè le donne quasi spente
che abitano dentro le baracche
di catrame nero potessero regalarsi ancora
un’ultima estate d’illusione di vita .

Già verso l’alba,i vicoli sporchi di fango
si svegliano con il suono stridulo dei carretti
che gli spazzini trascinano assonnati,
cigolanti come ruote del destino
in cerca perenne di un po di fortuna;
poi gli operai che escono dai vicoli stretti
con passo veloce si fermano alla fermata
della vecchia corriere per un’altro giorno
di speranza e di duro lavoro;
alle otto in punta escono i bambini
con i grembiuli sgualciti e le cartelle
sporche e malandate pronti a correre,
a correre e a rincorrersi in un piacevole
gioco d’innocenza senza peccato, 
alcuni ragazzi a far la lotta
mentre vanno a scuola
e mai una volta i loro sguardi
sembrano veramente di bambini.
Sulla piazza  si fermano con grande frenate
i camion carichi di merce per il mercato
della povera gente di periferia,
alcuni uomini rimontano i banconi
nei vicoli e davanti alle porte delle case,
nient’altro che tavole ammuffite
sopra le quali vendere la loro povertà
e il loro orgoglio di povera gente onesta,
qualcuno più fortunato ha un negozio

ove le mosche si sentono al sicuro
e vivono là dentro ogni stagione,
le donne salgono al mercato che s’affolla
e alle grida di chi vende si avvicinano e guardano,
ma neanche oggi non compreranno niente,
quel che c’è a casa basta;
e se non basta ci si arrangia
per un’altro giorno di umile miseria,
l’odore della frutta si mischia a quello
del pesce che da biciclette sgangherate
d’ improvvisati pescivendoli invitano
le donne a comprare con poche lire,
mentre i gatti strisciano affamati in attesa
dei pochi rifiuti che forse cadranno,
ma è una attesa inutile,
lungo la via delle bancarelle di ogni sorta
di merce che cattura gli sguardi
di povera gente che niente potranno
comprare neanche oggi.

Dopo mezzogiorno la vita si riavvolge
desolante come un cane bastardo
e scheletrico disteso al sole che attende
ogni evento con rassegnazione
chinando il capo alla sua miseria;
così cede il giorno alla sera,
i ragazzini hanno giocato sul piazzale
tutto il pomeriggio correndo dietro
a un vecchio pallone sgonfio e senza forma,
ora stanchi ognuno torna a casa sua
con negli occhi sguardi di vera felicità
della loro umana povertà di sorrisi,
gli ultimi uomini rimasti smontano
i banconi ancora rimasti nei vicoli stretti,
e dopo aver acceso l’ultima sigaretta
tornano a casa a lavorare per il domani;
gli ultimi negozi chiudono e la piazza
rimane sola e desolante in tutta
la sua misera sporcizia.

Zuppa di verdura per cena,
la TV è accesa..;un po di distrazione,
finalmente un po di pace,
alla TV questa sera danno un programma
sulla povera gente che vivono
al margine delle grande città…. ,
le luci si spengono e nei vicoli
sporchi e scuri si sente qualche miagolio,
poi silenzio…, dal cielo la luna guarda
e con il suo bagliore illumina la periferia
che dorme nella sua pietosa miseria………
 
carmelo .22/12/1966…. PERIFERIA DI NAPOLI.

 

 

 



NEGLI ECHI DELLA NOTTE

Al tramonto vibra ogni respiro

sul filo d’orizzonte…,

non si vede la fine

solo vampate di rosso nell’infinito.

 

Rimbalzano voci

lievi brezze di un cielo lontano…,

ingenui e luminosi

vanno i globi rincorsi dalle spume.

 

Sottili rimbalzano le bolle d’aria

sulle pareti ardenti…,

bruciano fili di fumo

vivo e rosso sulle roventi rocce.

 

Frenetiche farfalle si arrotolano

tra riposanti spirali…,

nell’arcano anfratto

aspira l’amore il perno del naviglio.

 

Sono accesi i sogni

petali rosa nel giardino fiorito…,

sanguinano odori 

dal calice del fiore nascente.

 

Negli echi della notte

lacrime di gioia imperlano la pietra…,

si schiude la rosa

sul groviglio sciolto dell’anima.

 

16.03.2013 Ciro Sorrentino



Mio Dio

 

Mio Dio

 

Che non sia eterno tal fiore

eppur sorride e non dispera,

perché tal gioia appare funesta

se della morte siam parte,

e non si comprende il voler

esser eterni se stanco e il nostro

esistere, dai gioiamo nel non dover

esser  perenni perché tanti e tanti

pensieri non fanno che render rara

virtù e felicità, mio Dio fa che di

voler non abbia a soffrir e che di

gioia senta goduria in tal mondo

sempre scuro e senza anima.

 

Dio, io non son pronto ma col

capo chino debbo e voglio

esser tuo figlio, prodigo e non

quanto Ti amai, ma quanto ti amo,

e quanto ti amerò mio Signore

altro non sono che labile

evanescenza, e Tu e Tu sempre

possa dire che io altro non posso

che amarti mio Signore e grazie,

grazie di non  esser artefice

di una devozione  dissennata

e cosparsa di tanti perché

e di tanti ma…

Tu e sempre Te io amai

 e senza se o perché

son desto e comprendo,

Dio quanto ti amo.

 



Il racconto di una vita

Il racconto di una vita

 

Dai racconto,  c’era una volta

tanti e tanti attimi fa perdetti

ragione sorriso e amore,

 come svagato

piansi e meditai

per ciò che non ebbi più,

ora ascolto musica e rosario,

prediche e poesie

ma a che serve.

 

Sospiri fuggevoli

cosparsi di niente e lascivi,

fuggo veloce ma son lento

che fare, che dire,

la sua foto sorride e sorride,

io son triste ma lei è  sempre

allegra e sorniona,

eppur ti amai quante gioie

e poi tanti e tanti

abbracci e tante inutili promesse,

fuggi fuggi fuggi,

sii serena son lento

nell’ acciuffare

ma veloce nel capire

vita mia,

aspetta e sii paziente.

 

 



Fine di amore

 

Fine di amore

 

Addio mi avvio

e senza rimpianti,

dar ascolto

e non voler capire

i fruscii e pianti,

sommessi e gelidi

di un cuore alienato,

non sarà

che misero passato,

ma non son triste.

 

Tu mia principessa

che di nascoste virtù

vaghi nello spazio

di un piccolo

grande cuore,

non sei che un

granello di sabbia

di un grande rimpianto.

 

Troppo dolce

e troppo amore

porgesti ad un muto

e indifferente essere

che visse e vivrà

di fugaci ombre

e ciò che tu ascolti

non son trilli d’amore,

ma rumori

di foglie cadenti

di un mesto autunno,

che strappate dai loro

grossi rami

rotolano in un vuoto

rassegnato e conscio.

 

Aspetterò che il futuro sia

il presente

e poi racconto del passato,

ricorderò gli addii

ma il dopo reclama

sempre e solo

rimpianti e ricordi.

 



Oh mio Dante.

 

Oh mio Dante.

 

Nel girone del sommo  Dante

quanto caldo e freddo e  poi… poi…

 

un lontano silenzio urla e urla,

lacerante e acuto,

 

 Dio mio son giunto alla morte

ed il cappuccio del Sommo poeta

scivola,

e appare il volto adirato

di colui che venne profanato

nelle immortali sue opere.

 

 Derubo sentori e parvenze e sapere,

ma non son poeta,

son solo pieno di un tal sapere

semplice  semplice

 che persino il grande verseggiatore

tollera con generosa indulgenza,

si perché la vita è vita ed uguale per tutti,

comunque si racconta nel

magnifico e nel fatuo,

ma è pur sempre vita.

 

Racconto e racconto

ma non so cosa, le parole son uguali

una all’altra, dimmi tu

o Sommo che dire,

 ormai vedo solo schiere

di anime senza cuore

e senza orecchie ,

occhi spenti e cosparsi di velature,

bocche diritte e curve all’ingiù

che follia la vita,

dimmi sommo Dante

in quale girone son atteso?