Il mondo dell’empatia e della percezione in “GLI SPAZI TUTTI E IL MIO UNIVERSO” di Ciro Sorrentino

GLI SPAZI TUTTI E IL MIO UNIVERSO DALLA RACCOLTA “A SYLVIA PLATH”

 

D’ignoto e puro amore

si nutrì la tua vita

che si rialzò più volte,

invano gridando – “Aiuto!”

 

Rimase puro il tuo grido,

fresca la tua anima

fu rapita dalle onde

di liquido e vaporoso fuoco.

 

Ancora risuona la tua voce,

e strazia l’incompreso

perso in questo vieto

così vacuo mondo di spettri.

 

No, non sarai obliata,

resisterai sempre

al vapore di statue

che si veste d’irriverenza.

 

Eterno sarà il tuo respiro

e scuoterà i mantelli,

mummificati corpi

ormai aspirati dal vuoto.

 

Tremola e mi raggiunge

la tua libera voce,

infinita come il soffio

che del primo “scoppio” vive.

 

Vibrerai pulsando,

come fonte di “stringhe”,

e inonderai di suoni

gli spazi tutti e il mio universo.

 

20.03.2013 Ciro Sorrentino 

 

Il poeta si rivolge alla donna che, nella sua frenetica ricerca, cercò la strada per cogliere la purezza e la perfezione della parola, quella parola che traduce il pensiero e tutto il mondo intimo e misterioso del quale l’essere umano è fatto.

 

E tra delusioni e successi, tra la gioia e la sofferenza, tra l’esultanza e l’avvilimento provò a rialzarsi cercando un appiglio, qualcuno che le tendesse una mano per comprendere le sue ragion d’essere.

 

Ma ogni richiesta rimase insoddisfatta e, schiantata dall’insopportabile peso dell’incomunicabilità preferì “escludersi” alla vita, almeno a quella in questa forma conosciuta.

 

Si abbandonò alle correnti di un universo “anomalo”, e utilizzò di questa vita uno degli elementi costitutivi, quello che origina nella sua vaporosa liquidità la fiamma.

 

Ma il suo pensiero, l’anima che vide se stessa e decise di dipartire per l’oltre sconosciuto, ancora vive e Sorrentino la percepisce, ne avverte gli echi, lui così solitario, e parimenti estraneo alla vita, ne raccoglie i frammenti, ciò che resta in questa dimensione così futile e piena di ombre.

 

E si rivolge a Sylvia Plath con la dolcezza del custode, di chi vuole ricordarne la passione e la fiamma che alimentò la sua vita tanto sfuggente, perché diversa e pura, da una realtà mistificata e popolata da stupide marionette, ammantate d’insolenza e dileggio.

 

Sorrentino avverte il “respiro” di Sylvia, quel soffio divino che arde e dice di mostrarsi veri ed autentici, di scoprirsi nello specchio, piuttosto che adagiarsi sul piano dell’insolvenza ad essere e rimanere come mummie senza storia.

 

È come se il poeta senta in sé quel “respiro”, e attraverso esso abbia raggiunto una diversa comprensione della vita: sembra quasi che vada alla ricerca delle origini dell’universo, del meccanismo che innescò reazioni a catena, fino a far nascere la donna/mito, l’angelo Sylvia Plath.

 

L’associazione tra la natura di Sylvia e il big bang si fa evidente, Sorrentino immortala la donna/poeta non già in una icona del conosciuto su questa terra, ma la rende infinita, come infinito è il sorgere e risorgere dell’universo e degli universi.

 

Universi, certo, molteplici universi, non uno, ma tanti.

 

Volutamente Sorrentino ha stigmatizzato la voce di Sylvia nelle “stringhe” che sono parte di quella teoria che ha ipotizzato universi paralleli.

 

E la vede pulsare in ogni dove, negli “spazi” conosciuti, in quelli possibili e, soprattutto nel suo mondo, il mondo dell’empatia e della percezione che sembra farlo comunicare con quest’anima vibrante e rilucente, virtù e simbolo d’amore.

 

23/03/2014 Dipartimento di Lettere e Filosofia, prof. ATTILIO BELTRAMI



Il mio gratificante lavoro

                                                                    

Il mio gratificante lavoro

 

 Scrivo scrivo mentre l’altra mano 

scorre veloce nel suo lavoro. 

 

Quante e quante cose ho da raccontare 

e la bocca con indentro

leccornie amare e misere 

rumoreggiano

fastidiose e incessanti.

 

Pazienza la catena di montaggio 

trae tempo e garbo al povero di turno,

 che con felice gioia

raccoglie a piene mani il frutto del suo lavoro, 

ma ahimè le sue mani son talmente piccole

che entro non hanno che da possedere

che pochi, ma pochi soldini,

giusto per un pezzo,

ma piccolo pezzo di pane,

companatico niente di niente.

 

 Pazienza mai fu scritto

che la morte per fame 

debba avvenire con sazietà, 

cosi fu deciso da scellerati cosi avvenne

in una bieca e odierna realtà.

 

A presto amici torno al lavoro 

e che la fame sia con noi.

 

 

 



Il mio deserto

 

Il mio deserto

 

Ombre, mio Dio, buon Dio,

una passeggiata nel deserto,

quanta bella e silenziosa gente,

che sfoggio di visibilità

occhi dipinti e mani luccicanti,

sguardi cortesi,

movenze e movenze diverse,

ombrellini dipinti

e che sguardi accecanti

di lussuriosa goduria.

 

Un fuggi fuggi di rondini fuori rotta,

dai silenziosi mormorii

ma che strano, saranno impazzite

o corrose dal tempo.

Mi dirigo verso quel miraggio

berrò e berrò qualcosa e poi dimentico,

ma cosa benedetto Dio,

qui è tutto così strano.

 

Quanta sabbia veloce e penetrante

acceca e si insinua nell’anima

che strano il deserto,

è rigonfio di gente e appariscenze,

calde ma inutili, ma non è corrotto,

non vi son che poche afflizioni,

è mistico incolto severo,

 mai odi ciance e pronunci,

 e strani anatemi verso quell’ingrato

ma accattivante sole arroventato.

 

Ma come fanno gli ultimi cavalieri

a scorazzare su animali a due gobbe

e non pensano all’amore,

o forse si, ma a loro basta

 lo sguardo ed hanno tanti,

e tanti amori,

io son solo e mi basta.

 



Insieme

 

  Insieme

 

Lieve brezza in un cielo ricoperto

di vaghi sortilegi

e di magiche sublimazioni,

abbracciami e meditiamo amore mio

che giunga il misterioso brivido,

la vita si dissolve lentamente

e con mesta e laconica indolenza

sguazziamo nei suoi arcani segreti,

ma siamo felici, ed ogni scoperta

è un lento avvicinarsi

a quella stella lassù, lì in alto,

tanto in alto,  ed ella

par quasi esser partecipe

al nostro sogno chiamato “ vita .“

 

Non  perderò la tua mano, la terrò

stretta stretta stretta,

essa mi sarà compagna

e guida e certezza.

 

Mia  Dea quanto bella sei,

sfioro le imponderabili

meteore con distensione,

e quanto appagamento

nei nostri bizzarri cuori

che del cosmo han fatto

la loro casa,

e dell’amore la panacea

a quei mali oscuri,

che mai ebbero voglia

di rallentare il veloce spreco

delle nostre esistenze.

 

 



IN UNA DANZA DA SOGNO dalla raccolta “A Sylvia Plath”

Quando penso a Sylvia,

giovani rondini  

aprono le nuvole,

gemmando l’anima

con le calde gocce

del suo inquieto sangue.

 

Sui sottili rami in fiore,

si desta la mente

dalla penombra,

che guida e segue

le colonne di nebbia

dei miei inquieti pensieri…

 

E La sento nelle foglie,

al tocco del vento,

in una danza da sogno

che mi sommerge

con l’aroma incantato

di tale incredibile incontro.

 

20.03.2013 Ciro Sorrentino



Che strano miraggio

 

Che strano miraggio

 

Che strani bagliori

in quel lontano orizzonte,

son lacrime di fuoco

e pungono pungono pungono.

 

Mai ebbi più colpa

di un cattivo miraggio,

son desto ma dimmi tu

rosso fuoco di cosa ti nutri

se non di affetti repressi.

 

Quanti malinconici colori

dopo il rosso purpureo

e il verde speranza

e il triste nero,

e il giallo ocre

dei fiori di plastica

sparsi per di qua e di là,

come a cercar sorte in un mondo

a volte fasullo a volte cristallino.

 

Che orizzonte incantevole,

cosparso di chimere e chimere,

profumi silenziosi,

e rumori profumati

e corpi con due cuori

e anime senza anima.

 

Dai mondo strano

non essere ingrato

noi sappiamo,

ma non comprendiamo,

son ormai destato

ed ho compreso

 che i tramonti son artefici

di laconiche illusioni.