I SENTIERI INVISIBILI in “Di frenetico delirio morti” di Ciro Sorrentino
DI FRENETICO DELIRIO MORTI
Sarà incredibile ritrovarsi
Nel silenzio del buio,
Rivedere tutta la vita
Che scivola via
Dalla storia degli uomini…
Sorrideranno i nostri occhi,
Le mie e le tue mani
Si fonderanno nell’arco
Che infiniti universi
Scaglierà in roteante fuoco.
Guarda! Ci priverà il tempo
Dei nostri corpi,
Con il suo artiglio
Prepotente e curioso,
Cercherà le nostre anime.
Invano irromperà
La curiosità dei malvagi,
Furenti gli spergiuri
Ci chiameranno folli
Di frenetico delirio morti.
Tu, anima mia, guarda ora!
Noi saremo altrove,
Saremo il cuore di luce
Di una stella dorata,
Che illuminerà nuovi cieli.
03.04.2013 Ciro Sorrentino
È evidente sin dai primi versi che Sorrentino, nonostante parli all’impersonale, si stia rivolgendo a Sylvia Plath, sussurrandole il suo coinvolgimento emotivo, la gioia di poter essere con lei nella serenità ignota di un universo estraneo al presente, così torvo e bieco.
Il poeta esordisce con il predicato al futuro, la magia di cui parla dunque è un sogno coltivato con amore e cura, il raccolto verrà in seguito, quando la sua mente avrà esplorato questa vita, scandagliandone a fondo ogni aspetto, allorché di essa avrà mostrato tutti i suoi elementi ambigui e devianti che allontanano il pensiero dalla percezione del vero, o, comunque, da una ricerca mai paga degli indizi che chiariscono e svelano una parte del mistero che stringe e soffoca il mondo.
E si rivolge a Sylvia, immensa poetessa che fu vittima del mondo, lei che restò schiantata dalle nefandezze e dalla nauseante angoscia, provocata dall’assenza di una motivazione che le avesse fornito almeno un briciolo di luce sui tanti perché rimasti inevasi.
Dunque, Sorrentino sta percorrendo la strada di Sylvia, nel suo nome combatte con forza e coraggio, non si arrenderà e difenderà sempre la voce che lui ama: sembra quasi di vedere questo cavaliere parte per vendicare il nome della sua protetta, e non combatterà come don Chisciotte contro i mulini a vento, dichiarerà e racconterà della piccolezza di questa realtà nelle cui spirali tutto viene trascinato e fagocitato.
Sorrentino non sarà la vittima, ma il carnefice di una vita che stordisce e falsifica nelle sue forme ed elementi al punto da illudere gli uomini che essi siano manipolatori e padroni degli eventi.
Potremmo dire che Sorrentino scarta l’ipotesi stessa che gli uomini abbiano deviato l’armonia della vita, piuttosto denuncia il fatto che la vita, per come si presenta, è -un vorace mostro che distorce le menti, concedendo volutamente agli uomini quella illusoria idea di gestire gli eventi.
Ecco allora che il poeta si pone in quel luogo che esula da questa realtà, in quel luogo ignoto, di cui ha sentore, nell’altrove dove già è giunta Sylvia, purtroppo con modi più violenti e duri, accorciando il tempo e lo spazio mediando e negando la sua volontà.
In quella pace oscura (da intendersi come estranea e sconosciuta) Sylvia, la donna/poeta è già giunta, ma è sola, in un universo disabitato, perché da nessuno visto.
Ma questa sua solitudine avrà fine con l’arrivo del suo cavaliere, di colui che ha raccolto il fazzoletto bianco, il foglio di carta per riportarglielo, lei che lo aveva lasciato cadere, come si fa per attirare l’attenzione e accendere un pensiero.
Quando saranno insieme, nella loro comprensione del tutto sorrideranno della storia degli uomini e di quei corpi che essi stessi hanno abitato, ripercorreranno sentieri scoscesi ma con gioia e vigore, scruteranno l’inutile affannarsi degli uomini che si trascinano e lungamente credono di aver assaporato la vita.
I loro occhi s’illumineranno fissandosi, nell’incontro tanto atteso, nella distanza che fa assaporare meglio il gusto autentico: abbracciate le loro anime si fonderanno in una sola essenza che sul filo di un arco, l’arco della scienza del tutto, prenderanno lo slancio per attraversare altri universi e ricercare la verità ultima.
È come se il loro viaggio prendesse nuove strade, esaurita la loro missione sulla Terra, si comprende come essi debbano recarsi in altre dimensioni per spargere scintille del vero, sembra quasi che siano due angeli in missione portatori di luce e di messaggi.
Questo il senso della fiamma che rotea, di un fuoco eterno che si consuma e rinasce senza sosta accendendo luci e buio, gli opposti termini che si intersecano in una necessario e continuo altalenante bilanciarsi.
Il poeta invita la donna a sollevare il capo dalla sua solitaria posa, dalla solitudine nella quale si ritrova isolata, come dispersa e smarrita, incompresa, imprigionata dal destino del non poter essere capita: lui l’ha sentita, l’ha riconosciuta, l’ama, ama la sua mente.
Sorrentino la avverte, un giorno sarà con lei, il tempo umano priverà anche lui del corpo, e di loro due, del loro pensiero proverà a farne scempio, cercherà di gettare nel dimenticatoio i proclami e i messaggi profetici da loro immortalati nei versi: e quale strumento migliore se non la poesia per magnificare e rendere eterno la voce che parla e declama la verità.
A nulla servirà ai malvagi denigratori raccontare tutto il contrario di tutto, a nulla varranno gli sforzi dei curiosi maldicenti che si affolleranno per nutrirsi della carne di chi alla carne è già sopravvissuto estraniandosene.
La poesia conclude infine con toni più dolci, dichiarativi di un amore superiore, universale, infinito; si avverte in Sorrentino un considerare questo amore Dio stesso o il fuoco pensante che tutto vede e conosce.
Abbracciati Sylvia e Ciro percorreranno sentieri invisibili, impalpabili e comunque dichiarativi e autentici di altre realtà a noi per adesso sconosciute e aliene.
07.04.2013 Attilio Beltrami
Oh mia primavera!
Dimmi lampeggio di pupilla bruna
da dove giunge la brezza sottile
che amorevole il cuore accarezza
e come scosso ramo lo fa tremare?
Congedatosi l’uggioso inverno piovoso
con nuovi tratteggi e sfumature
di verde si va ridisegnando la vita
con alacre passo riprende vigore.
Altra cromia di filigranate sensazioni
ravvivano l’errare dello sguardo rapito
or che animula attonita svaga
tra madreperlacei colori!
Oggi non iroso spumeggia il mare,
brilla l’infante verdello
tra prosperi pomari,
dilaga e ondeggia, tra risorti campi
il rosso dei papaveri nani
pacati parlottano enfi rivi nei botri
altre fratellanze ritrovo con le cose.
Oh attesi annunci di primavera
riscossa della povertà della terra
che ubertosa si arricchisce di fiori;
emozioni che accestite e rinverdite
rose e gerani alle finestre del cuore
spalancato, da cui lungimirante
una speranza ritrovata
non ancora ben salda festeggia
un divenire di pensieri con occhi
intrisi d’amore e di illusioni!
Riprendimi solare tepore, riscalda
e dilata i miei atri con dolcezza,
innalzami fino alla bellezza pura
tra fermenti di luce e di chiarori;
circondato da riverberi e riflessi
trepido e irraggiato, dello sbocciare
di un nontiscordardimé fammi testimone:
allietato dall’evento, poi lo raccolga
e sopra come suggello regale vi imprima
l’impronta di un casto bacio augurale
prima che in dono, lo offra al mio amore!
Ah questo apprendere del vivere non vano
forse senza fine, per me divenuto
più vecchio scolaro svogliato!
Ch’io senta ancora di essere finché sono
e mi sottragga all’orrore di esser solo!
Che dire dell’anima.
Che dire dell’anima.
I tuoi occhi blu
come il mare,
effondono
bagliori lucenti
di mille gemme,
ed il tuo volto
deterso da un vento
lieve di burrasca
s’accende di una
dolente passione.
Le tue labbra rosse
borbottano amplessi
e frasi amabili tra
silenziosi abbracci,
in un fatuo idillio
ormai all’epilogo.
Donne avvinte
a infiniti rosari,
con le loro suppliche
sembrano vogliano
eludere la fine di
un amore fugato,
fra mille rovi aridi
e senza frutto,
una volta cosparso
di sublimi sussulti
e fervide fiamme.
Con la sera scendono
tristi ombre,
gli uccelli tacciono
rannicchiati
per l’equo riposo,
e lentamente
le brulicanti stelle
si posizionano
in un immenso cielo
elargendo
luci stupende e tristi.
Pregate sante donne
fluite veloci i granelli
del santo rosario
che tutto
abbia inizio o fine,
incurante e bizzarra
l’anima, domina
pretenziosa,
imperitura
e irriverente
sublime ed eterna.