“Dedicata ad Ana Valdeger”

L’ERBA DI SETA

 

Non conosco formule,

né gli elementi

che si mescolano,

ricreandoti

nel mare invisibile

sorto dalla furia

di questo sfibrante tempo.

 

Va e viene questa vita

tra luci e ombre,

sul tremulo respiro

del cuore rabdomante

che ti cerca,

cerca il tuo dolore

che al Tutto ti ha guidato.

 

Confusi espansivi vapori

abitano gli spazi

della mente,

– a volte si affollano

e ti riconosco,

vedo l’oscura chiglia

del tuo veloce vascello.

 

Nel tuo albeggiare

si perde la Luna

e la Terra

– di lapidi colma –

sparisce senza ombre

nella vertigine

che in cerchio avvolge.

 

Bianca e netta, la luce

del tuo sguardo

fa esplodere

le tremule tendine,

che oscurano

le mie finestre,

la Storia e ogni affanno.

 

In te il mondo nasce

e muta colore,

il verde, l’azzurro,

l’erba di seta

avvolgono le foglie

come sospese

nel turbinio del vento.

 

12.04.2014 Ciro Sorrentino



La grande bugia.

 

La grande bugia.

 

Sono fragile io ed il mio “io “

i vaghi fruscii e il muovere delle ombre

nella mia anima

son come  piccole eternità

vissute fra cielo e terra nel limbo

dell’attesa di un vano giungere

di nuove percezioni,

e vivo nell’attesa del giorno

della grande risurrezione.

 

Bevvi latte materno nella mia prima

infanzia e il mio dormire

con le braccia alzate

rendeva dolce la mia fragilità

e la mia mamma forse sorrideva,

forse no, ma Dio mio che incertezza il dopo,

forse la perversa trappola del non giungere,

sempre e poi sempre e sempre ancora

esitazioni e ancora attese.

 

Ora vorrei ma non posso,

bere calici di latte,

posso solo liquido  rosso

brioso e accomodante

e abbassare finalmente quelle braccia

rimaste sempre in alto, non per

accompagnare il quieto riposo,

ma come la resa innanzi a strani eventi

come la consapevolezza della bugia

della frivola felicità, eppur ci credo

e sbaraglio neri presagi, scrivo e scrivo ancora

penso e ancora penso a quanto sia grande

l’inesorabile inganno della vita .

 

 



La circolarità del tempo in “DI FRENETICO DELIRIO MORTI” di Ciro Sorrentino

DI FRENETICO DELIRIO MORTI

 

Sarà incredibile ritrovarsi

nel silenzio del buio,

rivedere tutta la vita

che scivola via

dalla storia degli uomini…

 

Sorrideranno i nostri occhi,

le mie e le tue mani

si fonderanno nell’arco

che infiniti universi

scaglierà in roteante fuoco.

 

Guarda! Ci priverà il tempo

dei nostri corpi,

con il suo artiglio

prepotente e curioso,

cercherà le nostre anime.

 

Invano irromperà

la curiosità dei malvagi,

furenti gli spergiuri

ci chiameranno folli

di frenetico delirio morti.

 

Tu, anima mia, guarda ora!

Noi saremo altrove,

saremo il cuore di luce

di una stella dorata,

che illuminerà nuovi cieli.

 

03.04.2013 Ciro Sorrentino

 

Ancora una poesia “circolare”, versi che possono essere “capovolti” e “rigirati” e che, comunque vengano letti, portano alla stessa conclusione, a “focalizzare” l’attenzione sullo “snodo” centrale, sull’intenzione velata di rappresentare e dire il dolore, “viatico” di saggezza e lungimiranza.

Sorrentino volutamente ha segnato una svolta stilistica del suo poetare, quello che per lui conta è centrare un motivo e “percorrerlo” fino a farlo “esplodere”, per catturarne ogni pur minimo risvolto.

 

Dunque, partendo dai versi centrali, potremmo dire che il poeta indica il “tempo” come l’artefice e l’artifizio “cosmogonico” per fissare la partenza e l’arrivo della vita degli uomini: al centro dell’attenzione è la crudele ferocia di un “meccanismo” assurdo, “surreale”, “misterioso” che irride la vita – è un tempo che dona e toglie la vita, un tempo/morte che attende nell’oscurità per prendere ciò che prima ha donato.

 

Questo “tempo” nell’atto di creazione/dissoluzione delle umane forme, assume caratteristiche particolari, evidenti nell’ “artiglio” che dei suoi figli cerca l’anima.

 

Certo “figli”, non vittime, sarebbe più semplice dire che questo tempo assume i tratti bestiali di una creatura soprannaturale che imperversa sul creato e sulle fragili creature che lo popolano.

 

Sorrentino questo lo sa, è consapevole del fatto che questo tempo persegue il suo scopo, “la circolarità”, l’eterno che rappresenta, il tempo insegue se stesso e nella morte/rinascita garantisce a se stesso l’eternità.

 

Piuttosto l’accentuazione negativa cercata e mascherata da Sorrentino è nei versi successivi che apparentemente sembrano declamatori e pessimistici nei confronti del tempo dell’universo.

 

Di fatto, è proprio l’opposto quello che intende il poeta, il tempo segue il suo corso naturale, la sua apparente legge dell’annullamento della vita.

 

Ma è il tempo umano ad essere giudicato e misurato nella cattiveria e nella maldicenza di quanti osservano, non tanto per “partecipare” e “comprendere” il dolore e le pene, ma per pura “curiosità”.

 

Un tempo umano che nella storia degli uomini diventa una macchina “fagocitante” che sperpera e infanga la memoria e il ricordo di chi, come Sylvia Plath e lo stesso Ciro Sorrentino, perseguono il fine della scienza del mondo, la conoscenza del grande mistero.

 

Mistero che poi, a ben considerare, per loro due non lo è affatto, dato che nelle loro “preveggenze” e “percezioni”, si sono ritrovati nell’unico luogo per loro possibile, nell’universo eterno e smisurato delle emozioni che si evolvono senza fine, in roteanti fiamme di luce e buio, di “morte/vita” e di “vita/morte”.

 

Ci si potrebbe chiedere quale è il senso di tutto questo, ma è evidente che la sola risposta possibile è che il tempo, almeno per come lo intendiamo noi, non esiste o che gli abbiamo assegnato noi una misura, un campione numerico sul quale e per il quale compiere le nostre azioni.

 

Su questo “non/tempo” sono stati gli uomini a costruire le cattedrali dei loro orologi, la precisione e puntualità dei giorni e delle notti: uomini, bugiardi ingannatori, illusi e illusionisti che sacrificano sull’altare della sofferenza la verità dei saggi, i proclami di chi ha colto e raccontato il vero, provando a svegliare il pensiero nelle menti addormentate e svilite di altre povere vittime della menzogna.

 

Ma per Sorrentino non ha nessun valore il giudizio dell’umanità, o presunta tale, e subito prosegue invitando Sylvia a guardare lo spazio ignoto e magico, soprannaturale ed alieno nel quale si ritrovano e per il quale sentono amore, lo spazio di un Eden che apre la porta ad altri paradisi, universi giovani da popolare e percorrere nel nome di una verità d’amore da diffondere e magnificare.

 

Ma si rifletta bene, perché la parola amore è da intendersi come donazione e comunione, sommo bene, passione infinita e cristallina, impalpabile ed eterna: questo amore sconosciuto assume allora i tratti dell’armonia e della perfezione, dell’equilibrio tra tutte le molteplici e smisurate forze che assecondano e governano gli universi paralleli, che incontrandosi sono l’uno fuoco dell’altro.

 

In altri universi Sorrentino si stringe a Sylvia, con lei vuole estraniarsi, vuole percorrere l’ignoto, immergersi nelle acque di altri abissi, ritrovarsi tra altre correnti, nuove e perciò stesso magnifiche, figlie di quella perfezione di cui sopra si è già detto.

 

La perfezione: un mistero che Sylvia Plath già aveva inseguito e che Ciro Sorrentino insegue, ma senza dolersene, anzi sembra quasi che il poeta celebri e descriva Sylvia, la “donna/eroina” che prima di lui ha significato la sua stessa intenzione di ricercare e demistificare ogni postulato e ogni assioma che escludeva la volontà dell’uomo di sentirsi parte attiva e sostanziale della vita a lui concessa di percorrere e consumare.

 

Allora sarà bello rivedere la vita libera, fuori ed oltre gli schemi e le forme umane, assaporarne il gusto in altre “placente”, nascere e morire in tempi e spazi diversi, e comunque dove essersi resi testimoni di verità.

 

Da quelle altezze, da vette di altri mondi, i due cantori potranno fondersi in un’unica voce e sorridere delle sciocchezze di tutti gli esseri che incontreranno, giganti o nani che siano, belli o mostruosi non importa, per loro sarà importante raccontarsi perché nel loro racconto assolveranno il loro compito quasi “messianico”, spargere semi di verità, lasciare indizi del loro passaggio in ogni più oscuro recesso degli universi, affinché ovunque si persegua la via della sublime poesia, il mezzo permeato di emozione e amore , l’unico capace di veicolare messaggi di amore e conoscenza.

 

12.04.2013 Cinzia de Rosis



Addio, terra mia

 

Addio, terra mia

 

 

 Silente terra senza tempo

con le tue festose filastrocche

ed ebbra di semplici parvenze,

cavalca il nero destriero

della solitudine,

e scorda del

 pur giusto abbandono

dei tuoi giovani figli,

che dolenti si affliggono

di dover vagare,

da borghi a città cupi

dove anche il ciuffo d’erba

germoglia già giallo

sulle enormi case

di freddo cemento.

 

Un grande mare

di esseri umani

che annaspano

nel delirante naufragio

della loro solitudine,

come fossero costipati

nella grande stiva

di una nave inabissata

nel mare delle

 speranze svanite.

 

 Addio terra mia.

 

 



Giovinezza

 

Giovinezza

 

Come ebbi sentore

che tal sorseggio di

felice gioventù volgea

al termine,

chiusi gli occhi

e opposi ostinata

resistenza

al malcelato dolore

che l’ingrato fato

delineò per noi,

nella triste

usura del tempo.

 

Brillò derisorio

il volto dalla

beffarda donna

dalle lunghe trecce

che ella  annodava  

e disfaceva

da un’eterna vita,

quasi a rendersi bella

innanzi ad

un nero specchio.

 

Ma ella non era

che uno spettro

veloce e impassibile,

ed io non fui

che sfiorato

da una instabile

e fugace cometa

chiamata  giovinezza.

 

 



BUFFA OMBRA dalla raccolta “A Sylvia Plath”

In questa notte di luna

tutto tace – le rose

sono seppellite

dal silenzio di neve.

 

Si smorzano le luci

sulle pareti dell’anima,

assorta e viva

nella quiete morente.

 

Ti sento…

 

Sento il tuo dolore,

la voce del cuore,

l’onda di sangue

che riempie le sfere.

 

Incupiscono le nubi,

la pioggia bagna

le mani e il petto

come veleno che uccide.

 

Ti vedo…

 

Vedo il tuo corpo,

sacrificato cero

che si consuma

sull’altare che chiama.

 

Dono a Te il mio sorriso

– stilla d’amore

per le tue labbra,

immobili cigli di statua -.

 

Non ti offro illusioni,

né rose o fiori di piombo,

la tua pura natura

cerca eterna armonia.

 

Ti offro il mio sorriso.

 

Sorridi a me che ti vedo,

anima candida,

sorridimi sempre

nelle sfumature d’ignoto.

 

Sorridimi in silenzio,

delicata farfalla,

sorridi al cuore

di questo misero poeta.

 

08.04.2013 Ciro Sorrentino