La festa di un addio

 

La festa di un addio

 

Cosa avesti a vedere dietro un velo

se non oscure sagome,

le ombre non hanno bagliori ne forme,

si cela solo un essere

che nel mentre dosa e calcola

strane ricette,

arranca e pensa cose avvilenti ,

come sfregi e rimpianti,

e ironizza l’esistenza,

e soffre e pensa… pensa

a ciò che fosse stato giusto…

cosa angustia una tal voglia di dir

seppur con supremo sapere

di una eletta Dea, 

un saggio dire

del suo oscuro e strano presente.

 

 Il sopprimere, quantunque fosse

rivolto al proprio essere

non rende felicità,

ironica e avvilente  si rammarica nel dire

di frustrazioni e sapienza,

nel descrivere il cammino di una

sofferenza cercata

e accudita con morbosa sobrietà.

 

Veli trasparenti e tetri ricoprono,

come se avvolgessero e celassero

gli ultimi respiri di un voluto moribondo,

avvolto e inondato da aloni

di perfidi ed esalanti  letali odori

di sofferenza, acre e deturpante.

 

Il fuggire da vita… a vita cupa,

dai concediti un dono vero,

di un  compleanno senza adescare

un inconsapevole e buio universo.

 

Son sempre fardelli gli avvilenti

cupi torpori e voleri insani,

seppur coperti da veli e veli,

e dietro di essi si cela colei che seppe

raccontare e vivere una eternità

in una frazione di vita

amara e indesiderata,

intensa ed eterna.

 

 

 



Spirito ribelle

 

Spirito ribelle

 

Ossessioni di uno spirito indocile,

mai destai voluti distacchi eppur

ebbi ed ebbi ancora malcelati addii,

fato sornione fuggi fuggi in maldestre

scarpe rumorose e veloci,

ma che far amor mio,

non mi resta che l’anima.

 

Son colui che dentro gli trema

l’urlo di un cigno nero, ma nero non è,

dai son incantato e perplesso,

sento tanti ma tanti i lamenti,

ma che strano fan sorridere e pensare,

dopotutto l’anima non è

complice del corpo, ne è solo

l’immortale parte e ne delizia il congedo

nel momento del grande commiato.

 

Dai vivi vivi anima mia che il corpo

sofferente e malizioso non abbia a

capire l’addio, egli reclamerebbe

l’ingiusto e non par che ciò sia giusto,

poiché mai il tangibile si accompagna

all’irreale e all’illusorio e all’evanescente.

 

 



I miei sensi

 

 I miei sensi

 

Finalmente ho ripreso i miei sensi

e di essi ne ho compreso il valore,

osservo il fluire del tempo,

dei suoi umori

le sue instabilità

e il malevolo celare

delle sue verità.

 

Ascolto silenzioso strane melodie

e odo i passi dell’anima

che fugge taciturna e irrefrenabile,

ella non ama che se stessa

e non incanutisce mai.

 

Tocco ciò che non esiste,

ed a carponi sfioro i verdi prati

spogli e sciatti,

cerco fiori,

e sassi

e vita

e conoscenza,

ma nulla appare

solo piccoli solchi

di terra nera,

 null’altro.

 

L’odore della grande libertà,

solo sentori aguzzi e laconici,

parvenze solo parvenze,

e l’odore  del non vivere

è amaro e penetrante.

 

Ma il gusto dell’aria porta

storie di altri e oscuri mondi,

e con gli occhi chiusi

attendo l’arrivo

di nuovi piaceri,

e intanto colgo i sapori

di una primavera trascorsa,

e che mai volle più giungere.

 



SOLO .

Solo ,sperduto tra giorni di pioggia
e notti senza lune osservo silenzioso
lo scorrere del tempo ,
il ticchettio di uno orologio impoverito
da ombre di luce fosforescenze
accarezzano parole e pensieri
muti e silenziosi che scorrono
soffici su ali di venti senza mete.

Solo , tra nuvole impalpabili
trattengo il respiro mentre raggi
di un sole rosso dipinge 
un cielo assente d’ azzurro,
su ali di gabbiani scorre il tempo
dei miei giorni persi
che come acque distorte dal destino
si infrangono su ruvidi scogli indifesi .

Solo , tra sorrisi e lacrime
scorrono i giorni della tristezza
divisi da occhi senza amore ,
sospiri avidi di carezze si sfiorano
su mani nude e senza emozioni
ricamano su labbra di fuoco
la mia anima solitaria e indifesa
che leggera si dissolve
nello scorrere del tempo infinito .
carmelo ferrè…..24/03/2014 



Spetta ..ciò che mi spetta

 

Spetta ..ciò che mi spetta

 

 Noi che di noi siamo inconsci,

che dire o fare se il destino

perpetua nell’erigere o disfare,

non è che un pari e dispari,

ciò che spetta… spetta.

 

Siamo e saremo sempre in attesa,

del giorno dopo la notte e

della notte dopo il giorno,

la fatalità è la grande saccente,

perché mai la certezza del dopo

è la verità del dubbio vissuto,

Dio che angoscia.

 

Assisto e medito l’ intima

esistenza di un fato,

ma posso, si che posso

dir che nulla mi piacque

di tal letizia di una sorte

annunciata, ma non probante.

 

Per tal concetto soffio e soffio

sulle grandi nubi affinché si

discostino dal mio cielo blu,

e che io possa liberare

la mia anima e

come un grande aquilone

innalzarsi e rimirarsi

su un mondo schiavo

dello strano incantesimo,

chiamato sentimento o amore.

 

 



Che confusione.

Che confusione.

 

Il tuo volto induce l’illusione

a credere allo svanire

di sopiti dolori ed alle

passioni represse, ma ormai

l’inconfutabile è realtà.

 

La comprensione non

è mai condivisa,

le verità giungono su

zattere invisibili,

e l’incorporeo udirti

e non parlare è uno

straziante dolore,

rinuncio al mio corpo

non alla mia anima.

 

L’immaginario mio essere,

i suoi vaganti sensi sopiti,

mi indurrà a cercare nei cieli,

nei mari, nelle lontane terre,

ove i pesci fuggono dal mare,

gli uccelli planano

e non volano più,

i cuori si chiudono per sempre,

ma l’iridescente luna e i

fiori e le farfalle

e le mille fluorescenze

di un cielo frammentato

di diamanti e rossi rubini

sono e rimarranno l’ambita

e sublime meta della nostra esistenza.

 

La misteriosa entità che attraversa

i cuori innamorati altri non è che un

rosso globo di fuoco ricoperto

di un brullo colore di cupa tinta,

occhieggiante e ansiosa in cerca

di misere e riluttanti attenzioni.

 

Sdegno e collera ci invadono

nel vedere un affranto volo di un

claudicante gabbiano reso inerme

da ali incapaci e pesanti e giungere

ansante nei sobborghi delle nostre

infelici esistenze dove piccoli fiori gialli

prepotenti si insinuano in ogni dove,

allietando le cospicue masse di laceri

ammassi di ferro arrugginito,

e le vecchie case cosparse

di vecchi cigolii silenziosi,

stanche accolgono i tristi uomini che per

barattare amicizia e assensi usano

strani e a volte incomprensibili cenni

di accondiscende e necessaria reciprocità.

 

La fioca luce delle candele rende

suggestivi e irreali i loro volti biechi

e insofferenti, ed il vicino mare

ribollente e nevrotico scaturisce ansia

e frammenti di inquietudine,

e si mescolano ai ricordi

di cieli variopinti e ricolmi

di luci e luci di colori e colori

cadenti e sfuggenti e ingialliti

dall’indifferente tempo.

 

I tristi uomini reclinano

il capo di lato lasciano scorrere

i neri capelli coprendo il viso stanco,

e mascherando un triste risentimento

di un abbraccio cercato e mai ottenuto,

occcultando la prepotente pretesa

di uomini che mai ebbero

la capacità di amare.