La fuga dell’esistenza.

 

La fuga dell’esistenza

 

Celestiale l’equilibrio

ove scaturì l’armonia

e il fluire dell’anima

verso l’eterna serenità.

 

E il calare del turpe livore

fra me e il mio essere,

fa vera la speranza

della lesta e ambita fine.

 

Essa induce all’affezione

del non esistere più,

poiché la meta di

ogni essere umano

altri non è che l’involarsi

di ciò che non giova

e irrita il nero presagio

di una morte

senza il risorgere.

 

La nera donna

rende uguali,

sorniona carpisce

e inghiotte passioni,

livella e lacera sogni,

lega lo spirito al corpo,

e poi fugge via,

dopo, solo dopo

scioglie le illusioni,

e beffarda si appiglia

nuovamente alle nostre

debolezze e porta

ancora via ciò

che essa brama

e ambisce,

la nostra esistenza.

 



Il tempo che fu

 

 

Il tempo che fu

 

Quanta gaiezza e poi andò via

e giunse ancora gioia e gioia

ma era pigra e uggiosa, che nausea.

 

Ho riletto i compiti domani devo

ancora raccontare e che dire

se lacero e strapazzo

ciò che mi indispettisce e illude,

no no l’oro e argento son poca cosa

come il bacio e l’amore.

 

Ho riposto e poi ripreso quel che lasciai,

ero non vecchio ma ebbi a pensare di

non esser più giovane

e volli vita e vita ancora,

dimmi dimmi fata del sapere quando

smisi di esser vero,

ora non ricordo,

ma brandelli di ferro e stagno lottano,

lottano e ormai son forti

e l‘argento e l‘oro son svaniti,

son all’apice del nero,

 furibondo e arrabbiato e stanco,

son armato, si ho deciso mi difendo

col silenzio e gli occhi chiusi,

e aspetto il senno del poi..quale poi?

no, non mi incanto più,

basta,

non mi diletta ed è fine.

 



VA E VIENE IL TUO Astro dalla raccolta “A Sylvia Plath”

Hai chinato il capo

aspettando muta

che l’azzurra scia

 fermasse il tuo respiro.

 

Con il tuo verdetto

hai svincolato

l’increspata vita

dalle frenetiche acque.

 

Sei rinata  anima 

 sciolta dalle ombre

che accerchiano

sul viale degli spettri.

 

Va e viene il tuo astro

in questa cupola

persa al tramonto

del mondo elettrizzato.

 

Penso a te che

hai chinato il capo

risollevandoti

da questa vagante terra.

 

27.03.2013 Ciro Sorrentino



Da te torno a tornare mare!

Ozia sullo scoglio l’uccello marino
un velo fosco l’orizzonte nasconde
un naviglio lento si distanzia;
sonnecchia il vento, l’onda è calma
diradate schiume si spengono
cala e imbruna il giorno cadente.
Mare, stanco di tutto e di niente
ancor a te mio soccorso torno
e una fratellanza ritrovo
se tutto addosso par mi crolli
e dall’impresa del vivere mi dimetto.

Che imperituro ti contamina cuore
che su te aderisce e morde
che ti scombina e l’ago
della bussola di essere dirige,
che oltre lo sguardo vuoto e fisso?
Sono come un suolo spaccato
in uno sverdito sepolcro:
nulla germina nell’arso!
Che mi dissangua e aggruma
in questo pestilenziale stagno
ove sostano impaludati pensieri?
Tramonta, dirupa la luce
cresce l’invaso del buio
si ritirano gesti e parole,
niente oltre l’acedia dirompe .
S’aprisse a rinsanguarmi
un cielo ai raggi della sera
vita in cui più non credo:
oh dimenticare le tariffazioni di pene
le sottrazioni di allegria
la mancanza di irenici abbandoni!

Ravviva e enfatizza me spento mare
di ottimismo empimi salsedine
fomenta e capovolgi il mio animo
che tocca il fondo del nulla
quando ogni luce mente o si spegne
e in me vecchio tutto si stinge,
rialzami da questa infelicità
in cui son disteso e non comprendo:
nei vortici flussi e riflussi
del mio essere solo io non anneghi!



La panchina dei ricordi

 

La panchina dei ricordi

 

Soffici batuffoli bianchi

di neve fresca e odorosa,

uno e uno e tanti ancora

e tutto diviene marmoreo.

 

Ogni fiocco un sogno e

imbianca e nasconde

prati e alberi e cose,

e rallegra di candido

il nostro nero mondo

uniforme e sfuocato.

 

Bella la mia panchetta

in quel verde prato,

amica di vecchi sogni

complice di promesse

e carezze e abbracci.

 

La sua tinta lacera,

ora è cosparso di una

luminosa bianchezza,

vergine e promettente,

come vorrebbe essere

il mio oscuro passato

e ambiguo vago futuro.

 

Mio presente aiutami,

non andar via avvolgiti

anche tu del chiaro e

soffice manto, chi vuoi

che ti scorga e biasimi.

 

Che estasi questi istanti,

quanti lusinghieri ricordi

qui ho dato l’inibito bacio

sulle labbra del mio primo

ed ultimo veritiero amore.

 

Il nitido bianco riveste

il “ti amerò per sempre”

scritto su quel becero e

bugiardo legno di una

vecchia panchina di un

prato trasparente ormai

senza sfumature e fiori

addio mio ultimo ricordo.

 

 



Il vecchio treno

Il vecchio treno

 

Un aureo dono smarrito e cercato,

come l’avido cerca il giallo metallo,

e il contadino dalla terra

l’ingente raccolto,

io cercai colei che volle…

volle tanto ed io fui poco.

 

Eclatante lo splendore

e l’estasi di un amore vissuto

in un morboso silenzio,

ma grande fu il compenso,

smodate allegrie fra mille

e tante promesse,

accoccolati fra umide erbe

e svolazzi e svolazzi

di allodole intimorite.

 

Quante lacrime nascoste,

di gioia e abbracci,

tenui e poi veritieri e poi …

ansiosi respiri,

e poi…poi..quanti veli di nebbia

hanno respinto i nostri affannosi respiri,

e le mani impavide e oltraggiose

sfioravano con passione

i nostri volti quasi..quasi

a modellarne la forma,

e la felicità parea irrefrenabile.

 

Tracce e deturpazioni indelebili

sul mio cuore,

io giunsi ferito

da quel lontano fronte

ove si esaltava il bene o il male,

l’amore o l’indifferenza,

ma il fazioso e lercio inganno

scorre veloce e sinuoso

nei nostri sentimenti,

e come l’orda di un lontano barbaro,

dove egli passò non nacque più erba,

ma solo fiori neri e addii… e addii

ed a nulla son valsi i miei rimpianti.

 

Quanti infiniti tormenti ebbi

a soffrire del suo abbandono,

il cigolio del vecchio treno mi sfiora,

scivolando sui lucidi binari

e imperterrito scuote la mia anima,

inala fumo nero e desolanti stridii

e non prende passeggeri a bordo,

egli è stato l’effimero

traghettatore dei nostri sogni,

l’ espediente per giungere inutilmente

nella terra del sublime essere.