Vita, stelle e sogni.

Vita, stelle e sogni.

Vita, la grande vita,
cosparsa di lucenti fuochi
e stuoli di pensieri liberi,
disseminata di gocce
di rugiada rappresa e sterile,
eppur son come gocce di mare
che di tanto in tanto fan giungere
strani resti di lontani sogni
su una spiaggia ricoperta
di appuntiti ciottoli.

Mi giunge un lontano riflesso
di un’antica e lontana lanterna
il cui oscillare perenne par quasi
rendere traballante
una terra corrosa e preda
di un fato nefasto e pretenzioso,
di cui sono uno degli
insolenti apostoli.

Dai uomo rialza il capo e rotea
le tue stanche pupille,
osserva quel fragile
petalo dondolare
e giungere felice,
su un terreno cosparso
di incantevoli stelle
cascate dopo il naufragio
di irrealizzate illusioni.



La spirale dell’assenza in “SULLE FREDDE LASTRE DELL’ANIMA” di Ciro Sorrentino

SULLE FREDDE LASTRE DELL’ANIMA dalla raccolta “A Sylvia Plath”

 

Tu, vita, annichilisci

con vani sorrisi,

ebbrezze di Luna

che sempre gelano

pietrificando il sangue.

 

Guardo le tue arcate,

fosche colonne

di lucido marmo

che tutto sovrastano

sprezzanti e impertinenti.

 

Di notte lasci fantasticare

l’animo sfinito,

di giorno stringi

ogni apparizione

negli inquietanti vapori.

 

Il tuo rimbalzo smorza

lanterne e respiri,

recando angoscia

a chi vuole la quiete

e interminabile il silenzio.

 

Con lame assottigliate

colpisci e laceri,

lasciando l’anima

nella scoperta paura

del primo vagito al mondo.

 

I tuoi ambigui cespugli

asfissiano le foglie,

e i sogni lasciati

all’affanno dei rami

ormai isteriliti e stanchi.

 

In te nessuna fecondità

né amore che salvi,

solo fumi nascono

e serpeggiano rapidi

sulle fredde lastre dell’anima.

 

16.04.2014 Ciro Sorrentino

 

Il poeta dichiara sin dai primi versi la sua intenzione di rappresentare l’insolvenza della “vita“: in questo luogo poetico non gli interessa tanto catalogare la dimensione dell’esistere, gli preme soprattutto denunciare gli “effetti” che questa vita (lo spazio-tempo) procura e maschera nell’inconsistenza delle torbide esaltazioni che stordiscono, fossilizzando i corpi e di essi l’anima.

 

Sembra quasi di vedere questi uomini “annichiliti“, “ebbri” che scrutano il cielo e la luna, attribuendo al piccolo satellite poteri magici e simbolici che, di fatto, non possiede, se non nell’immaginario costruito dalle credenze comuni.

 

A una più profonda riflessione, si percepisce che la luna non interferisce nelle vicende umane, sono i sogni vani e sciocchi degli uomini che si proiettano nella sua distanza, una distanza che la rende parte di quegli universi dei quali l’uomo non ha percezione.

 

Eppure quella luna è stata volutamente enfatizzata da Sorrentino, come a ricordare ancora una volta quanto sono risibili le aspirazioni e le costruzioni umane, che a quelle misteriose altezze di luna non possono attingere altro che illusioni e chimere.

 

Tale scorrere inconsapevole spinge gli uomini ad affannarsi nei giorni che si susseguono, a cercare il sonno per abbandonarsi a sogni e fantasie che tali restano, perché ogni volta si scoprono fatue bolle di sapone che si dissolvono lasciando un’amarezza senza fine né risarcimento.

 

Il giorno si lega alla notte in una catena che, in ogni caso, avvolge in una morsa stritolando senza pietà il corpo e la mente, sfinendo a tal punto che nessuna reazione è possibile agli uomini che cedono ad una monotonia che si interiorizza, in un modo così radicale che sembra normale adagiarsi e trascinarsi nell’insolvibilità ad essere.

 

Ed è così apparentemente naturale soffrire, nei meandri della torbida quotidianità, che lo stesso sogno, anche una volta svegli, viene “ripensato” come sconcertante ambizione, fantasia da negare.

 

La spirale di siffatta vita soffoca e affievolisce ogni barlume di speranza, toglie fiato e forza, è un’afa che irrigidisce coloro che percepiscono il disagio e ambiscono una pace che sollevi da tanto squallore.

 

La solitudine è qui vissuta non come aspetto negativo, ma quale occasione per aprire la porta di altri orizzonti, su uno spazio – tempo sconosciuto e deserto, un luogo altro dove riconquistare nell’atonia la verità che è sostanza eterna ed unica.

 

Imperversa il vento della vita, impazza come uragano che squarcia e trafigge l’uomo, coloro che riescono a percepire le stonature, le contraddizioni, il non senso del vano fluire.

 

Emblematica l’immagine del bambino che nasce, sembra che Sorrentino voglia dire che prima di nascere, quando ancora si era ombra solitaria e viva, l’anima si trovava in nessun luogo ed ovunque, era essa parte del tutto, ma una volta nata si è ritrovata catapultata in un mondo orribile e spaventoso.

 

Un mondo irto di trappole e veli che oscurano ogni sorriso, abbandonando ogni creatura ad una triste sorte di omologazione e annichilimento.

 

Il poeta conclude declamando la sua verità, quella che nelle sue preveggenze si rivela essere assenza di fertile amore, di una possibile comunione con altre anime che rimangono perse e smarrite come fredde lastre” di una non – vita.

 

21.04.2014 Dipartimento di Lettere e Filosofia, prof. ATTILIO BELTRAMI



ALITO DI VIOLA

Soffia con alito di viola

il dolce spirito del vento

e la freschezza del respiro.

 

Mormora la brezza del mare

adducendo il suo effluvio

baci di sale che sfiorano me .

 

…il caldo abbraccio

accarezza i miei fianchi,

scompiglia le mie chiome…

 

…Sussurri all’orecchio

l’emozione e la paura

d’ amare fino all’eternità.

 

Mentre il vento risuona

per le vie del paradiso

sogno solo in volare

 

Il dolce vento incita

non aver timore,

tutto il resto è mare.

 

Ana Valdeger 20/04/2014



PIANTO DI GIOIA

Nell’impalpabile splendore,
nella distanza assoluta
che fa “rinascere” lo spirito,
trovo di nuovo la fede,
la pienezza del Messia e Dio.
 
E tremando di felicità,
tra sogni e pensieri
di trasparenze e ombre
trovo mani pietose,
e carezze d’Amore infinito.
 
21.04.2014 Ciro Sorrentino


L’ULTIMA PRIMAVERA

 

Oh, fatua primavera!

 

Sempre ritorni e tutto

inondi di variopinti fiori.

 

Così allunghi i rami,

e accogli i  passeri,

…doni piccoli rubini

nella tua piena d’amore.

 

La terra frena il respiro

il mio pianto si ferma.

 

Le radici irrigidite,

i fragili ramoscelli,

il mio tronco contorto

si riaffacciano alla vita…

 

…Ah, qual dolce dormire!

 

I fiori volano via,

il vecchio ciliegio si spoglia!

 

È solo nel suo dolore,

nell’invisibile brina

che ghiaccia i veli

e i suoi rami invecchiati.

 

Ana Valdeger 13/04/2014

 



Vecchi affanni

 

 Vecchi affanni

 

Declina incredulo

tal pensiero,

di vecchi affanni

e incantesimi

di una gioventù

adolescente e umiliante,

opulenta e imbronciata,

 cavalca l‘onda

del fremito convulso

di strani sentori

di allegrezza,

e raggianti visioni

disciolte in otri ricolmi

di perdute occasioni.

 

Quanti guizzanti attizzi

e quanti inutili strepitii,

nel focolare

delle ardenti passioni

di vecchie e laceranti bufere,

di scompaginati attimi

di folli fragori di inutili sogni.

 

Quanti castelli audaci

si inerpicano impavidi,

penetrando le ardite nuvole

che commosse irrorano

di copiose lacrime

 un mondo deluso e pallido,

in un stravagante cammino

verso il nulla.

 

Presagi malefici allontanati

da sciami di variopinte

farfalle borbottanti

e confuse da strane profezie,

lottano per arginare la fuga

delle correnti d’amore,

ed una di essa sedette

sul mio cuore agitando

le sue fragili e rassicuranti ali.

 

Addio vecchi aneliti,

vecchie passioni, vecchi ardori,

quel che resta è lo sgarbo

di venti tremuli

di vecchie solitudine

e di nuove incolte speranze.