La spirale dell’assenza in “SULLE FREDDE LASTRE DELL’ANIMA” di Ciro Sorrentino

SULLE FREDDE LASTRE DELL’ANIMA dalla raccolta “A Sylvia Plath”

 

Tu, vita, annichilisci

con vani sorrisi,

ebbrezze di Luna

che sempre gelano

pietrificando il sangue.

 

Guardo le tue arcate,

fosche colonne

di lucido marmo

che tutto sovrastano

sprezzanti e impertinenti.

 

Di notte lasci fantasticare

l’animo sfinito,

di giorno stringi

ogni apparizione

negli inquietanti vapori.

 

Il tuo rimbalzo smorza

lanterne e respiri,

recando angoscia

a chi vuole la quiete

e interminabile il silenzio.

 

Con lame assottigliate

colpisci e laceri,

lasciando l’anima

nella scoperta paura

del primo vagito al mondo.

 

I tuoi ambigui cespugli

asfissiano le foglie,

e i sogni lasciati

all’affanno dei rami

ormai isteriliti e stanchi.

 

In te nessuna fecondità

né amore che salvi,

solo fumi nascono

e serpeggiano rapidi

sulle fredde lastre dell’anima.

 

16.04.2014 Ciro Sorrentino

 

Il poeta dichiara sin dai primi versi la sua intenzione di rappresentare l’insolvenza della “vita“: in questo luogo poetico non gli interessa tanto catalogare la dimensione dell’esistere, gli preme soprattutto denunciare gli “effetti” che questa vita (lo spazio-tempo) procura e maschera nell’inconsistenza delle torbide esaltazioni che stordiscono, fossilizzando i corpi e di essi l’anima.

 

Sembra quasi di vedere questi uomini “annichiliti“, “ebbri” che scrutano il cielo e la luna, attribuendo al piccolo satellite poteri magici e simbolici che, di fatto, non possiede, se non nell’immaginario costruito dalle credenze comuni.

 

A una più profonda riflessione, si percepisce che la luna non interferisce nelle vicende umane, sono i sogni vani e sciocchi degli uomini che si proiettano nella sua distanza, una distanza che la rende parte di quegli universi dei quali l’uomo non ha percezione.

 

Eppure quella luna è stata volutamente enfatizzata da Sorrentino, come a ricordare ancora una volta quanto sono risibili le aspirazioni e le costruzioni umane, che a quelle misteriose altezze di luna non possono attingere altro che illusioni e chimere.

 

Tale scorrere inconsapevole spinge gli uomini ad affannarsi nei giorni che si susseguono, a cercare il sonno per abbandonarsi a sogni e fantasie che tali restano, perché ogni volta si scoprono fatue bolle di sapone che si dissolvono lasciando un’amarezza senza fine né risarcimento.

 

Il giorno si lega alla notte in una catena che, in ogni caso, avvolge in una morsa stritolando senza pietà il corpo e la mente, sfinendo a tal punto che nessuna reazione è possibile agli uomini che cedono ad una monotonia che si interiorizza, in un modo così radicale che sembra normale adagiarsi e trascinarsi nell’insolvibilità ad essere.

 

Ed è così apparentemente naturale soffrire, nei meandri della torbida quotidianità, che lo stesso sogno, anche una volta svegli, viene “ripensato” come sconcertante ambizione, fantasia da negare.

 

La spirale di siffatta vita soffoca e affievolisce ogni barlume di speranza, toglie fiato e forza, è un’afa che irrigidisce coloro che percepiscono il disagio e ambiscono una pace che sollevi da tanto squallore.

 

La solitudine è qui vissuta non come aspetto negativo, ma quale occasione per aprire la porta di altri orizzonti, su uno spazio – tempo sconosciuto e deserto, un luogo altro dove riconquistare nell’atonia la verità che è sostanza eterna ed unica.

 

Imperversa il vento della vita, impazza come uragano che squarcia e trafigge l’uomo, coloro che riescono a percepire le stonature, le contraddizioni, il non senso del vano fluire.

 

Emblematica l’immagine del bambino che nasce, sembra che Sorrentino voglia dire che prima di nascere, quando ancora si era ombra solitaria e viva, l’anima si trovava in nessun luogo ed ovunque, era essa parte del tutto, ma una volta nata si è ritrovata catapultata in un mondo orribile e spaventoso.

 

Un mondo irto di trappole e veli che oscurano ogni sorriso, abbandonando ogni creatura ad una triste sorte di omologazione e annichilimento.

 

Il poeta conclude declamando la sua verità, quella che nelle sue preveggenze si rivela essere assenza di fertile amore, di una possibile comunione con altre anime che rimangono perse e smarrite come fredde lastre” di una non – vita.

 

21.04.2014 Dipartimento di Lettere e Filosofia, prof. ATTILIO BELTRAMI

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