La metamorfosi negata in “IL NON – TEMPO DELLA VITA” di Ciro Sorrentino
IL NON – TEMPO DELLA VITA
Ad ogni crepuscolo
ascolto il vento
e di giorno isso le vele
cercando la rotta
per la tua vagheggiata isola.
Ma quanti veleni bevo:
– lacrime di sirene
stillate da alambicchi
colmi di inganni
e deliranti inquietudini -.
Immane l’angoscia,
la disarmonia si riversa
in questo spazio
dove solo il tuo Verbo
lenisce il dolore delle ferite.
Solo… Solo con i tuoi versi
e null’altro in mente
verrò a Te nell’Eternità,
oltre l’età futura,
dove dell’oblio faremo resa.
Allora gioirà il Destino
del fiore che nascerà
dalla tua e dalla mia anima,
che d’aureo sfarzo
imperlerà le Sorgive Fonti.
Tu ed io fummo…, siamo…,
e saremo oltre le ombre
di tutte le foglie
perse nell’eretica follia:
– il non – tempo della vita -.
24.09.2014 Ciro Sorrentino
A chi si rivolge C. Sorrentino?
A Sylvia Plath? Ad una donna? All’amore?
A nessuna di queste entità!
Il poeta ormai ha raggiunto un’identificazione totale con Sylvia Plath e canta come lei, lasciando emergere il bisogno di guardare in un punto, il più lontano, per scorgere una porta che schiuda gli orizzonti di misteriosi universi.
Stupenda l’immagine d’apertura: trasparente descrizione di un susseguirsi indeterminato di vacillanti tramonti, miniatura di una “circolarità” senza inizio nè fine.
Ed è lì fermo in attesa l’io poetico, rapito nella sua estatica immobilità, un’immobilità che confonde e fonde la notte e il giorno in un continuum atemporale, nel quale il vento è solo una forza che segna le distanze (peraltro anch’esse immodificabili).
È chiaro che la ragione vorrebbe avere la possibilità di approdare ad una terra d’amore, una terra lungamente “ragionata”.
Si faccia attenzione. Sottile è la mimesi che rivela come Sorrentino non stia rivolgendosi a Sylvia Plath, di lei piuttosto sta cercando la stessa “rotta” per uno stesso vergine spazio dove ricongiungersi nella monade eterna ed infinita.
E proprio “la monade eterna ed infinita” esprime ancora il senso di quella “circolarità” di cui abbiamo già detto in premessa.
Dicevamo dell’io poetico Plath/Sorrentino, la strofa che segue fonde all’unisono due stili in un unico “verbo del verso”:
“Ma quanti veleni bevo: – lacrime di sirene stillate da alambicchi colmi di inganni e deliranti inquietudini -“.
Per chi ha letto la Plath sa che i suoi toni sono un crescendo di sensazioni ritmiche, le stesse che Sorrentino ritaglia e dice con estrema musicalità.
Le restanti strofe si raccontano da sole, e sarebbe poco consono fornire un’interpretazione di questi “bozzetti” o “quadri” permeati dai toni e dalle atmosfere di un esistenzialismo che, di fronte all’orrido vero della realtà umana, spinge a sognare e a ritrovare “…le foglie perse nell’eretica follia…”.
Letterature Comparate, prof. Cinzia de Rosis
Ciro Sorrentino Scrive:
Ringrazio per quel “verbo del verso” che forse è conio e cuneo dell’Arte di Sylvia Plath.
A presto,
Ciro Sorrentino
Feola Raffaele Scrive:
Ormai non possiamo più fare a meno della tua poesia grande Ciro, guai al giorno che deciderai di tacere, guai, tutti perderemo qualcosa di importante. Ti abbraccio Lele Feola
Anna Mariniello Scrive:
non c’è poesia più bella di questa
sei un poeta nato
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