GIOVANI CIELI
Ondeggianti i rami
salutano i riccioli
caduti sulla terra
che nel suo ventre
oscura la vita
e di essa il profumo.
Vermiglie le spinte
che nei fusti salgono
sono assopite
o forse scomparse
nell’indolente afrore
che il tutto attorciglia.
Solo pochi ricordi
languono stasera
nelle ultime foglie
che si scuotono
come umidi foulards
di brunastra linfa.
Tu, rovente oblio,
assorbi il tutto
nelle tue profondità
gli abbandoni
di un mondo lontano
e delle foreste gli aromi.
Scioglimi oblio
nella sacra vastità
che dei marinai
accoglie la speranza
dei giovani cieli
e fremente l’ardore.
12.11.2013 Ciro Sorrentino
FREDDE LACRIME AMARE…
Come la pioggia che scende
lentamente nella notte
così fredde lacrime amare
bagnano un viso di mamma ,
la gioia che era nel suo cuore
ora è solo sofferenza e dolore ,
si può leggere dal suo volto
bagnato da lacrime amare
l’ odio che albeggia in lei
ma lui non poteva trattenere
il tremore di quelle lacrime di odio ,
e lei sola e indifesa
lì nella pioggia fredda
si lasciava andare
nel suo freddo pianto di odio .
I passi leggeri di lui
si confondevano tra le pozzanghere
di acqua mischiato a fango e
davanti al suo cinismo sguardo
le sue lacrime amare
come per incanto
si trasformarono in una lame
di vetro luccicante ,
che con un preciso colpo
trafisse il suo cuore ,
un tonfo e il suo corpo si accasciò
in una pozzanghera di sangue e acqua .
Senza pietà la pioggia scende
così come le fredde lacrime amare
rigano il viso di lei pieno di terrore ,
il volto è una maschera
misto di paura e odio ,
alza gli occhi al cielo e
maledice quel corpo disteso
sulla strada macchiata di sangue
e lurida pioggia fredda
impreca e maledice quel uomo
che ha stuprata sua figlia ,
una bambina di appena dieci anni ,
lacrime e pioggia si mischiano
su un pallido volto e nascondono
il dolore e l’ odio di una mamma ….
carmelo ferrè…..09/11/2013
Vanità ed incoscienza in “DESERTA TERRA” di Ana Valdeger
DESERTA TERRA
La mia anima
si specchia
nella deserta terra
e va per sentieri
sempre più stranieri.
Il mio corpo sopporta,
bramo un bacio,
supplico una carezza,
guardo le stelle
irraggiungibili e perse.
Un ansimante cuore,
con aspri ritmi,
implora il pavido rosso
in questo mondo
privo d’armonioso canto.
Le mie mani
muovono sabbie morte,
seminano semi
sul letto prosciugato
dal buio della tua assenza.
08.11.2013 Ana Valdeger
Nota dell’autore: per la stesura dell’articolo mi sono avvalso di alcuni spunti critici che il professore Ciro Sorrentino ha gentilmente messo a mia disposizione.
Quando l’anima, vale a dire la coscienza che ci rende creature uniche ed irripetibili, si riconosce e di se stessa scopre le irrequietezze e le tensioni sconosciute, è come se impattasse contro un muro di incomunicabilità personale e sociale.
È in questa “incrinatura” delle verità e delle certezze che per l’individuo si presenta una condizione di alienante sconcerto, alla quale non c’è alternativa possibile per la quale si creino le condizioni per sottrarsi alla disarmonia che tutto avvolge e schianta nell’abisso “destrutturante” ed incongruente del nulla dove tutto viene fagocitato.
È in questa “cesura” che inevitabilmente franano finanche i frammenti e le scaglie rocciose di una terra che non ha solidità e nemmeno la resistenza per opporsi alla situazione di decadimento e di rovina, cui il tempo sottopone ogni ultimo “argine” di consistenza.
C’è da chiedersi da dove sorga tanta inconsistenza. Sicuramente dobbiamo convenire che Valdeger parte da un’indagine razionale i cui risvolti filosofici sono innegabili, richiami permeati di un sano intellettualismo che sottende la sua ricerca di un “ubi consistam” sul piano ontologico e metafisico.
Questa terra, la terra cui si riferisce Valdeger, è come un pulviscolo cosmico, un bruscolino che sembra distanziarsi dalle stelle e dai corpi celesti che la circondano, è come se precipitasse nella voragine infinita ed incalcolabile degli spazi sconosciuti e misteriosi.
C’è in questa poesia un “respiro” che insieme è fisico e trascendente, una convergenza tra la spiegazione scientifica e l’irrisolvibile mistero del creato, che pone la terra nell’universo e ad esso l’allontana, come se qualcosa o qualcuno ne determinasse un’orbita sempre più dilatata e distanziata: è come se agissero sulle creature che la popolano due forze opposte quella forza centripeta e quella centrifuga, due opposte energie che nell’esercizio delle loro “potenze” sembrano lasciare l’uomo totalmente ed irrevocabilmente sconcertato.
Di fatto l’individuo si ritrova perduto tra sentieri sconosciuti, vagamente determinati nell’orizzonte oscuro e offuscato di un tempo altrettanto ignoto che lascia cadere la sua scure sulle coscienze dei poveri esseri, le povere creature senza amore, che restano allibiti come recisi dal tronco delle proprie convinzioni e delle presupposte certezze, verità relative che cadono ad una ad una senza possibilità di dichiararsi vere e comunque dimostrabili.
Ecco, la mente ha perso finanche l’ultimo baluardo della pretesa conoscenza, la logica stessa è venuta meno, non c’è un filo logico che accompagni le scelte e il cammino tortuoso ed oscuro dell’essere, che resta terribilmente agghiacciato da un mondo strano e assurdo: un’assurdità che nasce enigmatica e che nei suoi labirinti trascina vorticosamente, annullando ogni probabile capacità di individuare una risposta o una soluzione che dia valore alla ricerca dell’uomo.
Sembra che su un vascello, perduto in balia di venti contrastanti, la persona si abbandoni ad un torturante destino che aliena ed estranea, lasciando come interdetti e storditi, spiazzati a riconoscersi e ad individuarsi, almeno in un ente conosciuto e definitivo.
Per questo individuo solo e disaiutato anche le stelle si sono infrante, gli stessi sogni si sono perduti come risucchiati nelle fauci di un silenzioso buio oppure proiettati al di fuori di ogni reale contestualizzazione: le stesse fantasie hanno perso la loro “oggettivazione” e contestualizzazione all’interno dell’immaginario poetico, sono come semi che non si sa a quale specie appartengano, sono alla ricerca di una matrice che li raccolga ed imprima in essi un nuovo codice che generi colori e tinte di nuove atmosfere e respiro d’amore.
Si badi bene non sono questi fiori né rose, margherite o anemoni, o quant’altri boccioli e petali in grado di simboleggiare e comunicare un desiderio, sono piuttosto petali che vogliono definirsi “ex novo”, nella genuinità di un bacio, di un contatto che sia espressione e rappresentazione di una purezza che non è data cogliere nell’ordine delle cose e degli elementi conosciuti.
La ricerca di Valdeger conduce sicuramente ad ipostatizzare un universo parallelo e comunque una dimensione ignota alla quale, sebbene non se ne conoscano i limiti né le possibilità, vale comunque la pena abbandonarsi, se non altro per risollevarsi dall’omologazione e dall’appiattimento della coscienza.
Ed è in questa dimensione “altra”, tra orbite diverse ed estranee, che il cuore pulsante della poetessa cerca una luce che rischiari il cielo e la terra, tra brezze saline e umide, cariche di sapori e delizie paradisiache.
E con il carico di emozioni e tensioni, che spinge il suo corpo stanco, si avventura per le vie, ora buie, ora luminose, di una spirale cosmica, nella quale cerca affannosamente gli echi di un canto primordiale, un canto d’amore che guidi il suo cuore ad avvicinarsi alla “fonte” primordiale così da poterne cogliere le fragranze di purezza e d’amore, ormai inabissatesi nel mare dell’indolenza e dell’assenza, in un mondo che tutto sacrifica all’altare sacrilego e profano della vanità e dell’incoscienza.
11/11/2013 Dipartimento di Lettere e Filosofia, prof. ATTILIO BELTRAMI
Forse.. il nulla
Sentirsi smarriti e soli,
brancolare nel buio
di una giornata di luce,
e non vedere nessuno
fra tanta gente.
Ascoltare il silenzio
fra mille urla
e frastuoni di ogni tipo,
cercare amici e affetto
in un deserto in tempesta,
cercare compagnia
nell’oceano senza fine
su una zattera alla deriva.
Che strana la vita,
spesso ti offre
ciò che non occorre,
forse è vero che il cuore
serve solo
per tenere in vita
un corpo vuoto
e senza anima,
colmo solo di
intrecci di
cavi rossi e blu.
Eutanasia di una
speranza,
la fine dell’inizio,
che fortuna non
ho rimpianti,
non sono stato felice,
ho solo reso bianchi
i miei capelli.
Ero in attesa
della cosa sbagliata,
ho consumato
inutilmente il mio tempo,
quel che cercavo
già l’avevo…
la rassegnazione.
L’amore e il mare
Magiche sere d’amore,
sangue rappreso e sguardi nel vuoto,
sogni al chiar di luna e abbracci viziosi,
baci rubati accarezzando
il tuo volto imperlato
di piccole ansiose gocce di sudore,
come acini di perle
al vento di una calda sera d’estate.
Il mare si trastulla in un
infinito gioco di risacca con
gli aguzzi scogli,
complici indifferenti,
nascondono la nostra ombra,
e i nostri giochi d’amore e
ascoltano in silenzio
le nostre parole di tenero affetto.
Da lontano si odono musiche e
grida gioiose,
le balere e le verande
son colme di gente allegra e spensierata,
avvolte in un vortice di danze
e canti impossibili
come a voler dimenticare
le quotidiane avversità.
Intanto le piccole barche
in cerca di prede
con le ondeggianti lampare diventano
sempre più piccole,
fino a svanire all’orizzonte
come inghiottite da una vorace bocca,
all’alba faranno ritorno e i
loro marinai col cappello nelle mani
saluteranno la statua della
Signora
posta sulla collina
che domina il maestoso mare.