Vanità ed incoscienza in “DESERTA TERRA” di Ana Valdeger

DESERTA TERRA

 

La mia anima

si specchia

nella deserta terra

e va per sentieri

sempre più stranieri.

 

Il mio corpo sopporta,

bramo un bacio,

supplico una carezza,

guardo le stelle

irraggiungibili e perse.

 

Un ansimante cuore,

con aspri ritmi,

implora il pavido rosso

in questo mondo

privo d’armonioso canto.

 

Le mie mani

muovono sabbie morte,

seminano semi

sul letto prosciugato

dal buio della tua assenza.

 

08.11.2013 Ana Valdeger

 

 

Nota dell’autore: per la stesura dell’articolo mi sono avvalso di alcuni spunti critici che il professore Ciro Sorrentino ha gentilmente messo a mia disposizione.

 

Quando l’anima, vale a dire la coscienza che ci rende creature uniche ed  irripetibili, si riconosce e di se stessa scopre le irrequietezze e le tensioni sconosciute, è come se impattasse contro un muro di incomunicabilità personale e sociale.

                                                                                                                                                                                                                                                                                                         

È in questa “incrinatura” delle verità e delle certezze che per l’individuo si presenta una condizione di alienante sconcerto, alla quale non c’è alternativa possibile per la quale si creino le condizioni per sottrarsi alla disarmonia che tutto avvolge e schianta nell’abisso “destrutturante” ed incongruente del nulla dove tutto viene fagocitato.

 

È in questa “cesura” che inevitabilmente franano finanche i frammenti e le scaglie rocciose di una terra che non ha solidità e nemmeno la resistenza per opporsi alla situazione di decadimento e di rovina, cui il tempo sottopone ogni ultimo “argine” di consistenza.

 

C’è da chiedersi da dove sorga tanta inconsistenza. Sicuramente dobbiamo convenire che Valdeger parte da un’indagine razionale i cui risvolti filosofici sono innegabili, richiami permeati di un sano intellettualismo che sottende la sua ricerca di un “ubi consistam” sul piano ontologico e metafisico.

 

Questa terra, la terra cui si riferisce Valdeger, è come un pulviscolo cosmico, un bruscolino che sembra distanziarsi dalle stelle e dai corpi celesti che la circondano, è come se precipitasse nella voragine infinita ed incalcolabile degli spazi sconosciuti e misteriosi.

 

C’è in questa poesia un “respiro” che insieme è fisico e trascendente, una convergenza tra la spiegazione scientifica e l’irrisolvibile mistero del creato, che pone la terra nell’universo e ad esso l’allontana, come se qualcosa o qualcuno ne determinasse un’orbita sempre più dilatata e distanziata: è come se agissero sulle creature che la popolano due forze opposte quella forza centripeta e quella centrifuga, due opposte energie che nell’esercizio delle loro “potenze” sembrano lasciare l’uomo totalmente ed irrevocabilmente sconcertato.

 

Di fatto l’individuo si ritrova perduto tra sentieri sconosciuti, vagamente determinati nell’orizzonte oscuro e offuscato di un tempo altrettanto ignoto che lascia cadere la sua scure sulle coscienze dei poveri esseri, le povere creature senza amore, che restano allibiti come recisi dal tronco delle proprie convinzioni e delle presupposte certezze, verità relative che cadono ad una ad una senza possibilità di dichiararsi vere e comunque dimostrabili.

 

Ecco, la mente ha perso finanche l’ultimo baluardo della pretesa conoscenza, la logica stessa è venuta meno, non c’è un filo logico che accompagni le scelte e il cammino tortuoso ed oscuro dell’essere, che resta terribilmente agghiacciato da un mondo strano e assurdo: un’assurdità che nasce enigmatica e che nei suoi labirinti trascina vorticosamente, annullando ogni probabile capacità di individuare una risposta o una soluzione che dia valore alla ricerca dell’uomo.

 

Sembra che su un vascello, perduto in balia di venti contrastanti, la persona si abbandoni ad un torturante destino che aliena ed estranea, lasciando come interdetti e storditi, spiazzati a riconoscersi e ad individuarsi, almeno in un ente conosciuto e definitivo.

 

Per questo individuo solo e disaiutato anche le stelle si sono infrante, gli stessi sogni si sono perduti come risucchiati nelle fauci di un silenzioso buio oppure proiettati al di fuori di ogni reale contestualizzazione: le stesse fantasie hanno perso la loro “oggettivazione” e contestualizzazione all’interno dell’immaginario poetico, sono come semi che non si sa a quale specie appartengano, sono alla ricerca di una matrice che li raccolga ed imprima in essi un nuovo codice che generi colori e tinte di nuove atmosfere e respiro d’amore.

 

Si badi bene non sono questi fiori né rose, margherite o anemoni, o quant’altri boccioli e petali in grado di simboleggiare e comunicare un desiderio, sono piuttosto petali che vogliono definirsi “ex novo”, nella genuinità di un bacio, di un contatto che sia espressione e rappresentazione di una purezza che non è data cogliere nell’ordine delle cose e degli elementi conosciuti.

 

La ricerca di Valdeger conduce sicuramente ad ipostatizzare un universo parallelo e comunque una dimensione ignota alla quale, sebbene non se ne conoscano i limiti né le possibilità, vale comunque la pena abbandonarsi, se non altro per risollevarsi dall’omologazione e dall’appiattimento della coscienza. 

 

Ed è in questa dimensione “altra”, tra orbite diverse ed estranee, che il cuore pulsante della poetessa cerca una luce che rischiari il cielo e la terra, tra brezze saline e umide, cariche di sapori e delizie paradisiache.

 

E con il carico di emozioni e tensioni, che spinge il suo corpo stanco, si avventura per le vie, ora buie, ora luminose, di una spirale cosmica, nella quale cerca affannosamente gli echi di un canto primordiale, un canto d’amore che guidi il suo cuore ad avvicinarsi alla “fonte” primordiale così da poterne cogliere le fragranze di purezza e d’amore, ormai inabissatesi nel mare dell’indolenza e dell’assenza, in un mondo che tutto sacrifica all’altare sacrilego e profano della vanità e dell’incoscienza.

 

11/11/2013 Dipartimento di Lettere e Filosofia, prof. ATTILIO BELTRAMI

This entry was posted on lunedì, novembre 11th, 2013 at 23:12 and is filed under Articoli. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can skip to the end and leave a response. Pinging is currently not allowed.

2 Commenti

  1. Attilio Beltrami Scrive:

    “Le mie mani muovono sabbie morte,seminano semi sul letto prosciugato dal buio della tua assenza”:
    una strofa così carica di immagini surreali non può che essere rappresentata e detta in tutta la sua esplosiva carica poetica.
    Ma, per questo tipo d’analisi critico-letteraria, rimando a Ciro Sorrentino l’impegno di sviluppare i nodi poetici e i nuclei fondanti sui quali e per i quali la Valdeger ha voluto dire e cantare il suo pensiero.
    Con affetto e stima,
    Attilio Beltrami

    ... on July novembre 11th, 2013
  2. Ana Valdeger Scrive:

    Mio Caro Prof.Beltrami,
    Con sorpresa accolgo questo articolo con eterno ringraziamento.
    Un grande abbraccio,
    Ana Valdeger

    ... on July novembre 12th, 2013

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