LUNA PARK .
Giorni di festa ,caroselli
di giostre colorate ,
suoni e grida ,
il luna park e’ arrivato
alla periferia della città .
Festosi giochi ,
bambini che girano
su fantastici cavalli bianchi ,
mamme che con stupore
guardano le grandi
montagne russe .
Gente che va ,
gente che viene ,
ci sono baracche
tutte colorate e chiassose ,
c’è quella del tiro a segno
dove per dieci tiri centrati
su barattoli di latta
si vince un piccolo orsacchiotto
di peluche candito e bianco .
Luci colorate adornano
baracche e scritte ,
megafoni e altoparlanti
si mischiano e si confondono
ma non danno fastidio ,
tra una baracca e un pezzo
di terra battuta un mendicante
tende la mano per elemosinare
qualche monetina di felicità.
Più in là c’è quello che vende
il zucchero filato e
ancora in fondo a cinque baracche
si trova il castello del fantasma ,
il via vai di gente
continua a girovagare
tra un divertimento e suoni di allegria .
Le luci si sono spente
nel grande luna park ,
la festa e l’ allegria
per questa sera è finita ,
domani il luna park
aprirà di nuovo.
ora è tempo di
andare a dormire …..
carmelo ferrè ….19/02/2011
Ciro Sorrentino Scrive:
Una poesia apparentemente descrittiva che libera atmosfere fascinose ed incantevoli: al centro del discorso la riscoperta della felicità dei giochi, come se ci si trovasse in un magico giardino di luci, colori e suoni.
Ma non credo che Ferrè abbia voluto limitare i suoi versi alla celebrazione di una grande festa, quale appunto può essere una rappresentazione della festosità e della gioia che nasce all’interno di un Luna Park.
Anzi, è proprio la volontà di voler circostanziare questo luogo di felicità che accende la riflessione: il luogo è magnificato di proposito nelle policrome sfumature di allegrezza, come a esasperarne le tinte per far risaltare maggiormente il contrasto con una realtà triste e squallida, che sagacemente, Ferrè ritaglia e nasconde tra i versi.
È come se il poeta si chiedesse:
-Ma è possibile che, tra tante giostre, nessuno si accorge di una misera creatura che è accasciata sulla fredda e nuda terra in attesa che qualcuno, di fronte al suo stato di indigenza, gli presti soccorso?-
“…un mendicante tende la mano per elemosinare qualche monetina di felicità”.
L’inciso cade come per caso tra i versi, sembra quasi essere parte di quelle circostanze di gioconda spensieratezza, ma di fatto, non è così perché elemosinare un briciolo di gioia equivale a significare che la vita è pervasa da contraddizioni irrisolvibili che esaltano l’immagine della bellezza apparente, cercando di nascondere quello che sembra essere anormalità.
E qui ancora una volta il poeta sembra dire:
-Ma è anormalità la condizione di povertà o è una conseguenza della sfarzosità e dell’esagerata sfrenatezza dei costumi?-
Si noti un’altra sottolineatura che Ferrè, con grande maestria, nasconde tra i versi quando dice:
“Più in là c’è quello che vende lo zucchero filato e ancora in fondo a cinque baracche si trova il castello del fantasma, il via vai di gente continua a girovagare…”
Quel “più in là” è indicativo di un atteggiamento diffuso che spinge la gente ad allontanarsi dal mendicante, come se provasse nausea e ripugnanza nel dover vedere nel mezzo di tanta festa un essere malconcio vestito di stracci.
Ma è carica di sublime tragicità la frase “…in fondo a cinque baracche si trova il castello del fantasma…”: cinque sono le dita della mano del mendicante che cerca carità e cinque sono le dita di chi dovrebbe e, invece nega, un obolo che dia respiro e sollievo al misero e derelitto uomo.
Che dire, infine, di quel “…castello del fantasma…”: c’è qui un’esplicita e netta definizione della povertà dell’individuo che soffre la fame.
Ma attenzione siamo sicuri che Ferrè abbia voluto indicare solo il fantasma del mendicante o, invece, abbia volutamente creato i presupposti per indirizzare l’attenzione su ben altri fantasmi?
È evidente che Ferrè voglia richiamare l’attenzione sui fantasmi e sugli scheletri della “falsità” che il “meschino” (non già il povero, ma il benestante che schernisce e irride) nasconde nell’armadio della coscienza e che sempre occulta a se stesso e agli altri.
E per nascondere queste ombre, questi “nei” che fanno vergognare, il “vanesio” li esorcizza in una “carnascialesca” rappresentazione, quella appunto di una giostra chiamata “…castello del fantasma…”.
A presto, fratello,
Ciro Sorrentino
carmelo Scrive:
Mio caro amico amico , solo tu potevi capire e comprendere questa mia poesia , tu hai centrato in pieno il mio pensiero , hai mirato con la tua attenta analisi il vero senso , il LUNA PARK , IL MENDICANTE E IL CASTELLO DEL FANTASMA , dove io ho nascosto il vero senso di una realtà dove tutto brilla e nessuno vede l’ umbra della povertà ….. Ecco questo era il mio pensiero e tu CARO AMICO hai saputo come sempre leggere fra i versi la vera realtà …GRAZIE…. TI LASCIO CON UN FORTISSIMO E CALOROSO ABBRACCIO tuo amico fraterno carmelo …