GENTE DI MARE…

Ombre su ombre ,
tenebre nere si mischiano
nella penombra della sera ,
infuria il mare sulla nuda e
sabbiosa spiaggia ,
uomini frenetici aspettano,
fermi su grandi scafi
guardano le minacciose onde
che con furia schiaffeggiano
il legno dei loro scafi ,
nei loro sguardi non c’ è paura
ma solo speranza .

Tra sciame di nuvole nere
una fievole luna irradia a tratti
la lunga linea nera di un mare
rivoltato su se stesso 
da grosse onde rabbiose .
Infuria il mare e sibila il vento ,
occhi bagnati da sale marino
scrutano con apprensione
minacciose onde che si infrangono
con inaudita violenza 
sulla nuda e solitaria spiaggia , 
“” LA ! SI , SI LA VEDO , LA’ “” .

Tutti si voltano a guardare
dove un vecchio pescatore
con la mano indica un punto rosso
su quel mare infuriato ,
“” SI, SI , LA VEDO ANCHE IO “” .
E “” IO “” , gli risponde un’ altro
e ancora un’ altro
“” GESU’ , ECCOLA LI “”
esclama con meraviglia una donna
con un bambino in braccia .
“” SONO SALVI , HO DIO TI RINGRAZIO “” ,
l’ ancorato ringraziamento di una mamma
viene accolta da tutti i pescatori 
che dandosi piccole pacche sulle spalle 
si abbracciano lodando il SIGNORE …

Pochi metri separano il barcone
dal molo sbattuto da onde nere ,
IL GABBIANO DEL MARE ,
questo è il suo nome ,
rimbalzando spumeggiando onde 
finalmente approda sulla banchisa ,
gente di mare fradici ma sorridenti
abbracciano parenti e amici , 
sanno che non sarà l’ ultima volta ,
sanno e capiscono che la loro vita
di poveri pescatori dipenda 
dal mare che da loro da vivere ….

 

carmine  ferrè…25/02/2014

 



NELLA VERTIGINE DEL VENTO – dalla raccolta “AMORE ALLO SPECCHIO”

Mi aggiro piano nella stanza

tra incorporei riflessi

che al chiaro di luna

rimbalzano dai corvini muri.

 

Apre il vento la finestra

che impolverata

annerisce gli angoli

e la cuspide della piramide.

 

Bricioli d’oro si riversano

sul manto di velluto rosso

che attende nel centro

nuovo l’ingresso della rosa.

 

Una voce scuote il silenzio

e l’intorpidito sangue

che d’impeto divampa

come incontenibile fiamma.

 

Nella vertigine del vento

armoniosi mormorii

accompagnano la danza

dell’amore tanto sognato.

 

Ah, mio angelo donna,

offrimi le rosee mani

prima che suoni e luci

muoiano come rami franti.

 

22.02.2014 Ciro Sorrentino



Ti amo e Basta

Ti amo e Basta

 

Ho arrotolato

vento e cielo,

ho cinto l’aria,

le mie mani

han ghermito

la tua anima,

ho stretto

la tua essenza

sul cuore,

non respiri più,

finalmente

ho raso al suolo

un vano legame.

 

Per te rubai

una stella,

spensi il sole,

ma la pioggia

mi sfuggì,

era pianto,

non lacrime

di nuvole,

ma stizze

di pupille,

ridi pure,

scherniscimi

ma ti amai,

ti amo,

ti amerò.

 



Ad un incompreso amico

 

 

Ad un incompreso amico

 

Che giorno fantastico, sole serenità e gioia,

un caro amico, pare quacchero di cultura

fu da essere oblato e divenne saccaromicete,

e iniziò poi a interloquire con frasi

dal tono alcolico, divenne privo

di galantomismo, e fa vaccate,

gli volli regalare un Nandù e non sarà

più un samara, correrà veloce

nei prati della nullità.

 

Amico mio sei come una ialite

è una pianta rara e tu sarai come lei,

finalmente. Non dare retta caro gabbo,

so che sei vittima di un Background

e sei necessario poiché tale difformità

ha prodotto l‘effetto galattagogo,

finalmente le partorienti avranno,

grazie a te una produzione

decente di latte.

 

Sei come una baccante

e avrai in  dono un Babirussa

e ti farà compagnia nelle fredde

serate del gelido inverno,

innanzi ad un caldo e spento camino.

 

Potrai completare i tuoi fantastici studi

del linguaggio Baby talk e finalmente

i bimbi insonni potranno

riposare con serenità nell’ascoltare

i tuoi racconti.

Dai amico essere cacasenni non rende,

smetti di morire assieme, mio padre

afragolese di piazza Ciampi,

lo ripeteva sempre, buonanima.

Tu per osservare le stelle sei un saccopelista

non vanificare i tuoi studi sulle parole difficili

per attrarre attenzione,

non essere gabbamondo, io ho un

caracul persiana, e con essa spesso facciamo

lunghe passeggiate e poi torno colto,

si perché loro spesso sono più sagge

di alcuni essere umani.

Mi dicesti che sei come degli zapadei

ma non temere, si curano tante cose,

io posso aiutarti con oblatività,

cosi la tua querimonia potrà finalmente darti pace.

Ti saluto con affetto, (manco a pensarlo) ed a presto

caro amico del nulla e fatuo e ricorda che il vero poeta

è tollerante e nobile, non distrugge, erige.

 



Il nero allo specchio in “NELL’ARMONIA DI LUCI E SUONI” di Ciro Sorrentino

NELL’ARMONIA DI LUCI E SUONI

 

Esplose il buio silenzio

quando il tempo si fermò

perdendo contatto

con il suo stesso vuoto.

 

Il nero vagì respirando

e si specchiò nel nero

comprendendo l’orrore

del nulla sospeso nel nulla.

 

Allora levò corvini i teli

e vergognandosi

del suo gesso nudo

si coprì d’infinita vastità.

 

Cercò gli abissi

che furono suoi padri

e ne riempì le fosse

con lacrime d’espiazione.

 

Come nuvola nella bufera

distillò ogni goccia

decretando in giudizio

la sua lenta cancellazione.

 

Così del nero primordiale

rimase lo spettro

che si guardò nel ghiaccio

che di specchio fece il pianto.

 

Vide vero il suo volto

e celesti le sfere

dove un alito di farfalla

ancora freme esultando.

 

L’ombra comprese

e si sparse negli elementi

che sciolsero l’amore

nell’armonia di luci e suoni.

 

16.02.2014 Ciro Sorrentino

 

In questi versi, che scorrono leggeri ed armoniosi, Sorrentino rappresenta e fornisce una sua visione della nascita dell’Universo e della perfezione d’amore che, nella sua natura, ne costituisce il motore che tutto fa ruotare intorno all’anima – intesa come essenza pensante che percepisce e si emoziona di fronte all’avvicendarsi e al susseguirsi degli eventi.

 

All’inizio del Tutto Sorrentino individua nell’assenza una realtà dormiente, un nulla fagocitante che si espande a dismisura in ogni direzione, per un tempo indeterminato, astratto, inintelligibile.

 

Eppure questo tempo indefinito, che gira per volontà del nulla stesso, ad un dato istante ferma le lancette che inutilmente scorrono, non essendoci nessuno a delineare e costruire una storia del tempo.

 

Probabilmente la sostanza del vuoto girare, l’Entità Tempo è lo stesso Dio che rimane atterrito dalla mancanza di un riscontro, sembra quasi che aspiri a guardarsi in uno specchio per riconoscersi, liberarsi del nero che è.

 

Ma qui già stiamo addentrandoci in un discorso critico – filosofico, e occorre fermarsi un attimo per riflettere sulla natura che Sorrentino attribuisce a Dio.

 

Partiamo da un postulato, il vuoto che è il buio, e viceversa.

 

Il buio-silenzio/vuoto esplode, cioè si sveglia e prende contatto con il sé che dorme: in effetti, il tutto/nulla padrone di se stesso si identifica con il tempo.

 

Pertanto il vuoto/buio-silenzio/tempo, in quanto unità in perfetta sincronia, non riuscendo ad accettare il contraddittorio  ossimoro, e una totale, prevaricante ed inspiegabile contraddizione, collassa su se stesso, precipita in un vortice che potremmo definire ed identificare come la vertigine dell’assenza, dell’incoscienza, dell’assurdo e paradigmatico scoprirsi.

 

L’assenza, ciò che oggi viene studiato come antimateria, “ciò che non è, eppure è, contiene in sé i presupposti del divenire.

 

Il vuoto/buio-silenzio/tempo o semplicemente quello che Sorrentino identifica con il nero/Dio nasce dal di dentro, dunque, da un’implosione, da un’innata forza centripeta che lo schianta e lo feconda generandolo ed emancipandolo al Pensiero e all’esercizio razionale.

 

Nasce dunque Dio, ed emerge dall’incoscienza colorata di nero, si genera così un’essenza pensante, una logica che si protende e cerca la perfezione, l’armonia che gli mancava.

 

Possiamo affermare che Sorrentino identifica due poli a confronto, il negativo disordine e il positivo equilibrio.

 

È come se questi due fluidi elementi/entità fossero il padre e la madre del loro stesso figlio il nero, che in sé riunisce e rappresenta l’uomo e la donna.

 

Dio si autogenera nella visione di Sorrentino, e accorgendosi della smisurato spazio che esso stesso costituisce, nell’eterno espandersi, prova una sensazione di tremenda solitudine, scopre di essere solo nel suo vertiginoso nulla.

 

Dio prende coscienza di essere una statua, intarsiata di nere luci, e impressionato dalle percezioni di possibilità altre si sveste dei neri pensieri o dell’assenza di una logica e si riflette, proiettandosi come divino soffio, quasi come una immane forza centrifuga.

 

Il vuoto degli abissi viene riempito dalle sue lacrime, da un pianto che tutto travolge e purifica, donando acqua e respiro ai suoi stessi elementi/figli.

 

E creò gli universi paralleli, colmi di stelle e pianeti, popolando questa terra di esseri che altro non sono che proiezioni di se stesso.

 

Dicevamo prima del piano teoretico – filosofico su cui abbiamo poggiato la nostra prima analisi, ma sarebbe inopportuno e riduttivo non analizzare il significato della poetica insita, a livello di metafora letteraria, nei versi tutti.

 

A nostro avviso, riteniamo che Sorrentino abbia voluto descrivere uno stato d’animo che lo assimila alla stessa condizione primordiale di cui Dio fu prigioniero.

 

La seconda parte della poesia è, di fatto, più libera da implicazioni filosofiche, e lascia trasparire un pianto materiale, lacrime e lacrime versate in solitudine, un pianto che, tuttavia, è liberatorio sotto il profilo psicologico ed emotivo, le sue stille precipitano, e si dissolvono come nuvole che si sgonfiano e spariscono dopo una tempesta.

 

Così il poeta si ritrova a dialogare con la sua coscienza, è il suo un monologo che lo porta a comprendere la sua esperienza di vita, la storia che lo identifica e lo colloca nell’Universo.

 

E, in questo suo percorso/viaggio di ricerca, si riconosce senza veli, senza maschere posticce, si scopre leggero come una farfalla che annuncia un tempo diverso, pieno di sogni e di speranze: quello che il poeta definisce ombra, dunque, altro non è se non l’incoscienza e la marionetta del suo essere, e che, nella sua sperimentazione, si trasforma nell’essere nato dall’amore e che all’amore tende.

 

20/02/2014 Dipartimento di Lettere e Filosofia, prof. ATTILIO BELTRAMI



Dedicato ad uno sciocco nulla

 

Dedicato ad uno sciocco nulla.

 

Fosti il nulla e nulla sei strana ombra,

non vedo corpi ma solo burle,

sei finto o sei vero?

Obbedisci schiavo del nulla,

avvolgi il tuo sciocco dire

in una cesta di illusioni,

mai sarai più di ciò che sei,

assemblaggio studiato

con fare certosino

di incomprensibili parole.

Che sciocco uomo,

dai sii sereno ti prometto

che presto sarai ciò che mai potrai,

un vero uomo,

chiederò al Babbo Natale

un libro di raccolte

di parole difficili e senz’anima,

ti prego non andar via

e non piangere,

il nulla e prezioso tu no.