Il nero allo specchio in “NELL’ARMONIA DI LUCI E SUONI” di Ciro Sorrentino

NELL’ARMONIA DI LUCI E SUONI

 

Esplose il buio silenzio

quando il tempo si fermò

perdendo contatto

con il suo stesso vuoto.

 

Il nero vagì respirando

e si specchiò nel nero

comprendendo l’orrore

del nulla sospeso nel nulla.

 

Allora levò corvini i teli

e vergognandosi

del suo gesso nudo

si coprì d’infinita vastità.

 

Cercò gli abissi

che furono suoi padri

e ne riempì le fosse

con lacrime d’espiazione.

 

Come nuvola nella bufera

distillò ogni goccia

decretando in giudizio

la sua lenta cancellazione.

 

Così del nero primordiale

rimase lo spettro

che si guardò nel ghiaccio

che di specchio fece il pianto.

 

Vide vero il suo volto

e celesti le sfere

dove un alito di farfalla

ancora freme esultando.

 

L’ombra comprese

e si sparse negli elementi

che sciolsero l’amore

nell’armonia di luci e suoni.

 

16.02.2014 Ciro Sorrentino

 

In questi versi, che scorrono leggeri ed armoniosi, Sorrentino rappresenta e fornisce una sua visione della nascita dell’Universo e della perfezione d’amore che, nella sua natura, ne costituisce il motore che tutto fa ruotare intorno all’anima – intesa come essenza pensante che percepisce e si emoziona di fronte all’avvicendarsi e al susseguirsi degli eventi.

 

All’inizio del Tutto Sorrentino individua nell’assenza una realtà dormiente, un nulla fagocitante che si espande a dismisura in ogni direzione, per un tempo indeterminato, astratto, inintelligibile.

 

Eppure questo tempo indefinito, che gira per volontà del nulla stesso, ad un dato istante ferma le lancette che inutilmente scorrono, non essendoci nessuno a delineare e costruire una storia del tempo.

 

Probabilmente la sostanza del vuoto girare, l’Entità Tempo è lo stesso Dio che rimane atterrito dalla mancanza di un riscontro, sembra quasi che aspiri a guardarsi in uno specchio per riconoscersi, liberarsi del nero che è.

 

Ma qui già stiamo addentrandoci in un discorso critico – filosofico, e occorre fermarsi un attimo per riflettere sulla natura che Sorrentino attribuisce a Dio.

 

Partiamo da un postulato, il vuoto che è il buio, e viceversa.

 

Il buio-silenzio/vuoto esplode, cioè si sveglia e prende contatto con il sé che dorme: in effetti, il tutto/nulla padrone di se stesso si identifica con il tempo.

 

Pertanto il vuoto/buio-silenzio/tempo, in quanto unità in perfetta sincronia, non riuscendo ad accettare il contraddittorio  ossimoro, e una totale, prevaricante ed inspiegabile contraddizione, collassa su se stesso, precipita in un vortice che potremmo definire ed identificare come la vertigine dell’assenza, dell’incoscienza, dell’assurdo e paradigmatico scoprirsi.

 

L’assenza, ciò che oggi viene studiato come antimateria, “ciò che non è, eppure è, contiene in sé i presupposti del divenire.

 

Il vuoto/buio-silenzio/tempo o semplicemente quello che Sorrentino identifica con il nero/Dio nasce dal di dentro, dunque, da un’implosione, da un’innata forza centripeta che lo schianta e lo feconda generandolo ed emancipandolo al Pensiero e all’esercizio razionale.

 

Nasce dunque Dio, ed emerge dall’incoscienza colorata di nero, si genera così un’essenza pensante, una logica che si protende e cerca la perfezione, l’armonia che gli mancava.

 

Possiamo affermare che Sorrentino identifica due poli a confronto, il negativo disordine e il positivo equilibrio.

 

È come se questi due fluidi elementi/entità fossero il padre e la madre del loro stesso figlio il nero, che in sé riunisce e rappresenta l’uomo e la donna.

 

Dio si autogenera nella visione di Sorrentino, e accorgendosi della smisurato spazio che esso stesso costituisce, nell’eterno espandersi, prova una sensazione di tremenda solitudine, scopre di essere solo nel suo vertiginoso nulla.

 

Dio prende coscienza di essere una statua, intarsiata di nere luci, e impressionato dalle percezioni di possibilità altre si sveste dei neri pensieri o dell’assenza di una logica e si riflette, proiettandosi come divino soffio, quasi come una immane forza centrifuga.

 

Il vuoto degli abissi viene riempito dalle sue lacrime, da un pianto che tutto travolge e purifica, donando acqua e respiro ai suoi stessi elementi/figli.

 

E creò gli universi paralleli, colmi di stelle e pianeti, popolando questa terra di esseri che altro non sono che proiezioni di se stesso.

 

Dicevamo prima del piano teoretico – filosofico su cui abbiamo poggiato la nostra prima analisi, ma sarebbe inopportuno e riduttivo non analizzare il significato della poetica insita, a livello di metafora letteraria, nei versi tutti.

 

A nostro avviso, riteniamo che Sorrentino abbia voluto descrivere uno stato d’animo che lo assimila alla stessa condizione primordiale di cui Dio fu prigioniero.

 

La seconda parte della poesia è, di fatto, più libera da implicazioni filosofiche, e lascia trasparire un pianto materiale, lacrime e lacrime versate in solitudine, un pianto che, tuttavia, è liberatorio sotto il profilo psicologico ed emotivo, le sue stille precipitano, e si dissolvono come nuvole che si sgonfiano e spariscono dopo una tempesta.

 

Così il poeta si ritrova a dialogare con la sua coscienza, è il suo un monologo che lo porta a comprendere la sua esperienza di vita, la storia che lo identifica e lo colloca nell’Universo.

 

E, in questo suo percorso/viaggio di ricerca, si riconosce senza veli, senza maschere posticce, si scopre leggero come una farfalla che annuncia un tempo diverso, pieno di sogni e di speranze: quello che il poeta definisce ombra, dunque, altro non è se non l’incoscienza e la marionetta del suo essere, e che, nella sua sperimentazione, si trasforma nell’essere nato dall’amore e che all’amore tende.

 

20/02/2014 Dipartimento di Lettere e Filosofia, prof. ATTILIO BELTRAMI

This entry was posted on domenica, febbraio 23rd, 2014 at 10:00 and is filed under Articoli. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can skip to the end and leave a response. Pinging is currently not allowed.

1 Commenti

  1. Attilio Beltrami Scrive:

    Caro Ciro, senza nulla togliere all’analisi di de Rosis, credo che questa poesia sia la “summa” della tua poetica, e che, nella fattispecie, si offra ad una molteplicità di interpretazioni.
    Certamente, tra le osservazioni, a sfondo psicologico di Cinzia e le mie, di riferimento mistico-filosofico, il solo che può fornire un’esaustiva rappresentazione delle emozioni di fondo sei Tu stesso – e nessuno più di Te sarebbe capace di dare ragioni e riferimenti critici della tua portata.
    Con affetto e stima,
    Attilio Beltrami

    ... on July febbraio 22nd, 2014

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