Pace.

Pace.

Indegno strazio è la feccia
che il vento rintuzza e spande
dai seguaci di un’orrida setta
di ignobili guerrieri portatori
di morte e dolore e lutti.

Sangue a rivoli e l’ignobile
gioisce dei dolori degli esseri
indifesi e dolenti, tremanti
e orgogliosi, ma pur sempre
ricchi di vibrante amor di Patria.

Che un dono dal cielo giunga
a rallegrare la nostra vita
e ponga fine ai tormenti, e renda
più felice un mondo iniquo
come il buon Dio recrimina.

Che il bifolco si ravveda e pianga
lacrime di pentimento e si strugga
del martirio di indifesi bimbi
e donne e anziani, che germogli
solo sentimenti di una attesa pace.

Raffaele Feola Balsamo.



Aria.

Aria.

Aliti di un vento strano e dolce
sorvola un’erta collina,
io la percorro con passo
lento e stranito,
e di li scappa un volatile,
e le fronde si flettono,
l’albero tende le sue braccia come
a volermi abbracciare,
ma si ritrae temendo
il mio fare inquieto.

Una voce sonante e affranta
urla un grido scorato
invocando il nome di un Dio
che non vuole,
i Suoi silenzi colpiscono
 e fanno male,
Egli è stanco,
ma non corro via,
la mia è una cella
senza muri e senza porte,
ma son prigioniero,
ed esecro vita e morte
e non mi è dato di sapere
il giorno in cui
i fratelli ameranno i fratelli,
il cielo carezzerà
con diletto il mare,
e il sole spingerà
lontano i geli del cuore.

Raffaele Feola Balsamo.



Che strano sogno.

Che strano sogno.

Non so dove ebbe inizio
l’impalpabile sogno,
ma racconto svanito e confuso
ciò che mi parve un addio,
ma tale certo non fu.

Una grande luce tonda,
e di più piccole
le giravano intorno,
e strani esseri dal volto celato
e ricoperti di lunghe vesti,
di un verde simile
ai più bei prati di una radiosa
e florida primavera,
le loro mani mi accarezzavano
febbrili e ansiose
come a voler cercare la mia,
non certo morigerata anima.

Poi tutto ebbe fine
col brusco e doloroso risveglio,
il sogno svanì e con esso
la speranza di esser
giunto nella nuova terra,
tempo al tempo mi dissi,
coglierò l’attimo fuggente
e potrò finalmente vivere.

Raffaele Feola Balsamo.



A mio figlio.

A mio figlio.

Quanta parsimonia figlio mio,
son stato poco dispendioso
nell’abbracciarti, che folle,
ma non temere ora non mi appartieni,
tu sei parte del sole,
della primavera, della vita.

Non fermare la tua vita per me,
-non asciugare le mie lacrime
esse son solo rugiada,
-non tenermi se cado
è solo un tuffo al cuore,
-non accompagnarmi,
la tua età non vuole,
-non pensare al tempo
egli fugge e non torna mai più,
-sorridi se sei triste
dopo ogni avversità
giunge poi la serenità,
ma ricorda, tu sei quello che io fui,
e sarai quel che sono.

Raffaele Feola Balsamo.



Quanta paura.

Quanta paura.

Quanta e quanta paura,
perdo il volere e il sapere,
ma rendimi forte vita mia,
ho fame e sonno,
ho freddo e caldo,
ma tu non lasciarmi,
dono a te anima e cuore,
i sogni che sogni,
sorrisi e carezze,
dai prendi tutto di me
e va lontano
e portami con te.

Raffaele Feola Balsamo.



Il ricco…e…il non ricco.

Il ricco…e… il non ricco.

Cammino fra vicoli
e strade della mia città,
densa di una vita ricca
di un nulla delizioso
e appagante nella briosa
rassegnazione di sogni
mai realizzati,
tumefatti e corrosi
dall’inesauribile
scorrere del tempo.

Volteggio le mie mani
a destra e a manca,
quasi come a voler scacciare
da me le scie dell’avvilente
vanagloria dei sedicenti
guerrieri della povertà,
che gironzolano con vecchi
e sontuosi carrozzini
fra cumuli di ricchi rifiuti,
frutto dell’ingordo rimpinzare
dei nobili del benessere.

I frugali pasti dei ricchi
con enormi fumanti polli farciti,
e vassoi con incantevoli
e svariate leccornia,
i pacchiani commensali
con grande coraggio
ne disgiungono la pompante
composizione, ingozzando
i loro sofferenti corpi
straziati da succulente pietanze,
e deformati da aspetti
incredibilmente tondeggianti.

La nostra comprensione
verso tale dedizione e pari
solo alla grande voglia
del contendersi un tozzo di pane,
duramente conteso fra
gli eroici esseri di un mondo
sconveniente e ingiusto,
una volta eran chiamati poveri,
oggi son divenuti indigenti,
son loro i veri protagonisti
della nostra amara storia.

La sapiente e ragionata
turpitudine di gretti individui,
che han costruito la loro
esistenza con la sofferenza
dei loro simili in un mondo,
la cui generosa riconoscenza
non ha premiato coloro
che con schiene ricurve
hanno costruito ed eretto,
ma gli inoperosi esseri.

Ricchi e poveri brindano
insieme al nuovo anno,
il loro calici son strabocchevoli
di succo di lacrime dei sofferenti,
e nei vassoi vi son brandelli
di speranze e con le primizie
delle delusioni ancora calde.

Raffaele Feola Balsamo.