L’avverso fato.

L’avverso fato.

Si che tanto t’amo amor mio,
ma come l’ultimo degli spergiuri,
mi arranco fra strane filastrocche
e stinti colori camuffati
da dolci esteriorità fasulle.

E come il sogno di uno strano sogno,
affliggo ciò che mi pare esilarante,
ma poco raggiante,
e che pungente e doloroso
il sentore della folle pazzia.

Tempo fa spezzai
il mio inflessibile cuore
e ne versai gli sfilacciati lembi
in un grande prato nero,
privo di colori
e dai volubili tramonti.

Vani sono i soffi convulsi
di coloro che mi amano,
il mio abbietto fato aspira
ad un arcano destino,
ma non temo più la morte,
ma solo il suo dolente ghigno.

Raffaele Feola.



Il giorno del non sapere.

Il giorno del non sapere.

Quanto amore, tanti addii e tanti ritorni,
che vita … la vita, dai bevo un goccio
e poi racconto come arsi nell’inferno del
” si lo voglio “ io risi, ma non ero commosso
quel giorno innanzi ad un altare che
allora mi parve grande, ma tanto grande.

Percorsi terra e mari per giungere
dal mio amore, avevo indosso già da subito
l‘abito importante, l‘occhiello della giacca
infilzato da un grosso fiore bianco,
i polsini di una camicia bianco sporco
arricchiti di preziosi rubini falsi
che di gran lunga dicevan le mie,
non certo nobili origini, che battimano
in quella chiesa, ah che vita la vita.

Riso e fiori, l’auto lunga e nera
con tanti fiocchi dai tenui merletti bianchi
infiocchettatati, e batti batti le mani
che gioia che felicità, penso e ripenso
ma come feci ad essere cosi stolto.

Raffaele Feola.



Che ricordi quell’amore.

Che ricordi quell’amore.

Deliziosa e unicamente ricoperta
di fascinosa trasparente avvenenza,
bocca silenziosa e avida
di baci velati,
che essere meraviglioso,
effonde a volte disperazione,
ed a volte emette renitenza all’affetto,
come avvolta da uno stato di nirvana,
assente e immune
ad ogni capacità d’amore.

Frutto di passione antica,
avvolta nei miei ricordi più belli,
entrambi genuflessi innanzi
ad un vecchio altare
di una pietra lacera, ma miracolosa,
toccata da mille mani fiduciose nell’ottenere
mille grazie da mille sofferenze,
io e te una richiesta al Signore,
il vaticinio ad un amore
tanto risoluto quando eterno.
Tornerò amore.

Raffaele Feola.



L’ Averno.

L’Averno.

Una confusa fede, ma senza pregiudizi,
ti sostengo e condivido, ma perché il tuo
essere ambigua coinvolge le mie certezze,
e pur il mio animo non esprime rancore.

Forse son giunto avverso e confuso
nell’Averno, ove la ragione vien superata
dal non credere, e degli strani esseri orridi
ci sovrastano e cercano anime e sofferenze.

Tu ora amor mio non temi il mio silenzio,
tu sai che l’amor è l’inganno dei poeti,
tu sai che egli è solo l’alibi dei vati funesti,
tu ora sai che la vita è solo un attimo fuggente.

Raffaele Feola.



Il vecchio.

Dolorose donne intelligenti
nel loro cuore un ostacolo
le ore dei loro discorsi sono piacevoli
se ne vanno si allontanano.

Spesso di sera sole nella camera
tutto taceva in un momento diverso
il cuore pulsa sangue e forza
gli ospiti ridono fremono.

Nel giardino vive calmo il vecchio
giardino in fiore piacevole
che nelle onde della vita si perse,
lei sapeva del suo amare e si rilassò.



Nel sentiero.

Io conosco te dolce donna
il senso dell’amore la fuori nessuno
trovai ad un punto i fantasmi
il cammino del mendicante.

Camminiamo nel sentiero
la nostra cena alle otto in punto
e lei sapeva non più delusa
osservate come ama dipingere.

Nella loro casa confortevole
il suo volto mite mi guarda
rallegrati pur sapendo
ora è notte io la amo.