CORRI , UOMO CORRI.


Non ho piu’ voglia di sedermi ,
a ottombre le panchine fredde
non hanno piu’ senso ,
dagli alberi del parco
non cade piu’ una foglia e
sono rimasti con un’ espressione
di dolore , spogli con gli rami secchi .
Gli ultimi raggi di sole ricamano
la nebbia che avanza nel silenzio e
non c’e’ piu nessuno a raccoglierli ,
guardo i tetti delle case
che ormai scompaiono nella nebbia ,
guardo qualche antenna strapazzata
dal vento e chiudo gli occhi
come per staccarmi da tutto ,
da tutto cio’ che mi sta attorno
e che non mi appartiene.
Vorrei fermare il primo che passa ,
chiedergli :: Scusi , ma , lei perche’ corre ? :: .
Gia corrono tutti , il mondo corre , dove ? .
Pero’ non lo sa’ nessuno !
Corri pure uomo  ,
stancati e poi , quando ti fermi ,
mettiti le mani in tasca
troverai le bricciole della tua gioventu’ ,
troverai un pasto non consumato ,
un amore perduto e ritrovato ,
troverai un po’ di fumo e un po’ di vita ,
troverai te stesso con gli occhi bendati
e fra le mani troverai la morte ……
corri , uomo corri .
  carmelo  ferre’ …..22/10/2010

This entry was posted on giovedì, febbraio 10th, 2011 at 14:20 and is filed under Poesie Dark, Poesie sulla Vita, Poesie Tristi. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can skip to the end and leave a response. Pinging is currently not allowed.

1 Commenti

  1. CIRO SORRENTINO Scrive:

    Caro amico innanzitutto voglio scusarmi se non ho trovato il tempo di comunicare con te, ma gli impegni sono stati tanti.
    Comunque una prima lettura di tutte le tue ultime poesie sono riuscita sempre a farla, e, sono davvero belle.
    Ma questa in particolare ha una tale carica di sentimenti che travolge persino il tempo degli impegni e mi trattiene alla scrivania per rileggerla con la dovuta attenzione che merita.
    In questa tua opera si notano cadenze e moduli linguistici più sfumati, uno stile disteso e pacato, meno intenso e polemico, funzionale alla raffigurazione di situazioni fantastiche e surreali, di un mondo naturale che, comunque, non salva l’uomo e che, anzi, costituisce il modo per sublimare il dramma immutabile della coscienza che, definitivamente, si è posta in una dimensione “altra”, oltre la storia umana:

    “non ho più voglia di sedermi, a ottobre le panchine fredde non hanno più senso, dagli alberi del parco non cade più una foglia e sono rimasti con un’ espressione di dolore , spogli con i rami secchi.”

    Lo stemperarsi delle forme espressive, degli accenti e dei moduli narrativi, piuttosto che significare una possibile distensione e una fuga nell’irrazionale, diventa un modo alternativo per raffigurare lo smisurato estraniarsi della coscienza.

    Ancora una volta, è proprio il dramma della persona – sorpresa nel momento immutabile del suo definitivo isolamento – a sostenere l’impianto narrativo e a dare valore assoluto alla sostanza tragica della vita e alla solitudine che sempre ha inteso rappresentare.

    “gli ultimi raggi di sole ricamano la nebbia che avanza nel silenzio e non c’è più nessuno a raccoglierli, guardo i tetti delle case che ormai scompaiono nella nebbia, guardo qualche e chiudo gli occhi come per staccarmi da tutto, da tutto ciò che mi sta attorno e che non mi appartiene.”

    È questo luogo poetico una delle più forti e pietose espressioni della disperata condizione dell’uomo, della coscienza dell’io, che in un estremo trasalimento prova a sfuggire alla disgregazione e al disfacimento dell’essere.

    E così, l’energia o l’impulso vitale, rapportandosi al “sole”, alla “nebbia”, a quell’ “antenna strapazzata dal vento”, sembra riportare ancora alla realtà, ancora ad una forma di consistenza che salvi la coscienza dalla provvisorietà e dall’annullamento totale.

    Anche nella seconda parte del testo, emergono considerazioni sull’inesorabilità del tempo che passa e travolge, un tempo che logora l’innocenza e il candore degli uomini, mostrando tutta l’inutilità e l’inconsistenza della vita:

    “vorrei fermare il primo che passa, chiedergli: scusi, ma, lei perché corre? Già corrono tutti, il mondo corre, dove? Però non lo sa nessuno! Corri pure uomo, stancati e poi, quando ti fermi, mettiti le mani in tasca troverai le briciole della tua gioventù, troverai un pasto non consumato, un amore perduto e ritrovato, troverai un po’ di fumo e un po’ di vita, troverai te stesso con gli occhi bendati e fra le mani troverai la morte………
    Corri, uomo corri.”

    In questo luogo d’estrema riflessione, viene magistralmente descritto lo stato di sostanziale e permanente estraneità dell’uomo, la sua costante impossibilità a conoscere e a relazionarsi al mondo.

    Pertanto, “il mondo (che) corre”, la “tasca” (l’età) che contiene ormai solo “le briciole della tua gioventù”, quel “trovare un po’ di fumo e un po’ di vita” rivelano lo stato di confusione e di alienazione dell’uomo, che corre senza meta sui binari dell’esistenza.

    E questa ignara creatura si trova improvvisamente a una fermata esistenziale, in una condizione sconvolgente, oscura, sconcertante, tanto che come in un incubo, mentre tutti sembrano riconoscerlo e stimarlo, sente tutta l’angoscia nel non poter riconoscersi e ritrovarsi nelle sue cose:

    “…troverai te stesso con gli occhi bendati e fra le mani troverai la morte………Corri, uomo corri.”
    Ne consegue che quelle “…briciole…” sono frammenti di vita, sono le forme della fede, dell’amore, della posizione sociale ridotte ormai a immagini consumate, spente, fuori dal tempo, proprio a significare che tutto è precario e provvisorio.

    Al protagonista smarrito e disorientato non resta che scoprire amaramente che la sua vita poteva essere altra rispetto all’esistenza che ha condotto.

    In questa stupenda lirica della tragicità della vita, caro Carmelo, amico d’emozioni e pensieri, amico vero, dimostri un’apertura lirica che è, soprattutto, la voce profonda e segreta di un poeta che ha colto il dramma della coscienza, dell’io che prova a salvarsi dal nulla.

    A PRESTO.

    CON GRANDE AFFETTO, CIRO SORRENTINO.

    ... on July febbraio 11th, 2011

Post a Comment




Security Code: