Istanze e motivi poetici in “UNA DIAFANA ROSA” di Ciro Sorrentino

UNA DIAFANA ROSA

 

Come ombre d’acquario

luminosi sogni

sussultano in raggi

di caldo e leggero albore.

 

Sulla lontana spiaggia

un vitreo bagliore

adagio schizza

l’anima al suo risveglio.

 

Lampeggiano i pensieri

e sorgono vibrando

quando un soffio

scopre i semi al mattino.

 

Come l’uccello s’affretta

carpendo grani

così il cuore palpita

e si abbandona al sogno.

 

Ancora sorge il miraggio

e colora presto

le trasparenti spume

di uno strano e fantastico lago.

 

Ma quando infine la nave

supera l’incanto

l’amore è solo ombra

pallore di una diafana rosa.

 

15.12.2012 Ciro Sorrentino

 

La poesia si apre con delicate e variopinte tinte, sembra quasi che l’autore sia immerso nel silenzio incantato di una “stanza” nella quale il buio si fa rarefatto, lasciando che le percezioni del visibile siano come immerse in una colorata penombra che asseconda e scioglie le emozioni nell’alone di un sogno dorato.

Ne deriva che la fantasia vibra in un tremolio di tenui luci, e che proiezioni oniriche si diffondano come riverberi di un’aurora che solleva l’animo dall’oscurità di una vita monotona e grigia.

 

Come ombre d’acquario

luminosi sogni

sussultano in raggi

di caldo e leggero albore.

 

Ecco che il poeta si lascia traghettare, dalla spirale di un’estasi imperante, sulle rive di un mondo diverso e primitivo, un mondo dove luminescenze insolite e nuove, come delicate e lente carezze, destano l’io intorpidito e stanco: sembra quasi un paradosso, ma in questa trascendenza la vita assume connotazioni più vere del mondo reale e viene a costruire un’ “alternativa”, forse l’unica realtà possibile, rispetto all’antefatto, la “fuga” dalla miseria e dalle manchevolezze del quotidiano.

 

Sulla lontana spiaggia

un vitreo bagliore

adagio schizza

l’anima al suo risveglio.

 

Ed è in questa realtà, nuova e privata, integra e “altra”, rispetto alla banalità del comune sentire, che la mente rifiorisce nel bagliore fremente di un’ideale salvezza, ed è ancora in questa realtà che il vento spazza le nuvole e le morte foglie, lasciando che il tepore del cielo giunga sulla “terra madre”, laddove la naturale genesi della nascita possa avere luogo, così che i grani inizino a germogliare nella tiepida accoglienza di un nuovo giorno.

 

Lampeggiano i pensieri

e sorgono vibrando

quando un soffio

scopre i semi al mattino.

 

E come un uccello intimorito ed ansioso carpisce e fugge, così il poeta prova a cogliere una gemma in questo giardino della speranza, e corre ansimando, senza più fiato, verso una meta che viene a costituirsi come un’oasi nel deserto delle emozioni e delle aspettative di rinascita.

 

Come l’uccello s’affretta

carpendo grani

così il cuore palpita

e si abbandona al sogno.

 

E quando finalmente supera gli scogli e le pareti rocciose, che velano l’orizzonte, s’innalza uno spettacolo meraviglioso, che in maniera prospettica accentra la visione di un lago nascosto ed incantato, come se fosse incastonato tra rare ed ignote anse e sporgenze di un luogo segreto e perduto.

 

 Ancora sorge il miraggio

e colora presto

le trasparenti spume

di uno strano e fantastico lago.

 

Eppure sul cammino del poeta si interpone qualcosa di non ben definito, e il tempo dell’apparenza e del quotidiano spinge il povero individuo a guardare con una profana razionalità quanto di mirabolante ed estatico si dipana alla sua vista.

Quello che nasce è un conflitto drammatico che fa cadere ogni illusione d’amore, e la ricerca si blocca, lasciando che evaporino svanendo le tinte fulgide di una rosa che sembra essere lo spettro mai materializzato di un amore inseguito e mai vissuto.

 

 Ma quando infine la nave

supera l’incanto

l’amore è solo ombra

pallore di una diafana rosa.

 

   28/12/2012 Dipartimento di Lettere e Filosofia, Prof. ATTILIO BELTRAMI

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