Quello che immediatamente cattura l’attenzione di chi legge, questo che sembra disporsi come il primo capitolo di un romanzo “in progress”, è l’apertura volutamente descrittivo/intimistica, che isola e svela lo sbocciare di un fremito nell’essere ormai pronto alla rinascita.
Un “treno” si è fermato, le distanze spaziali sono state annullate, l’io profondo si erge tra una “folla” anonima, senza volto, e si fa largo con la sua valigia, il suo piccolo mondo tinto di verdi speranze.
Soffermandoci sulle congruenze che possono rivelare i colori, viene subito da notare come al verde si sovrappone ben presto il rosso di una rosa, ma è significativo quello sparire di una sciarpa di seta le cui tinte non sono ben definite.
E ci chiediamo perchè mai la “sciarpa di seta” perda la sua funzione, il segno di riconoscimento che avrebbe dovuto indicare la strada ed assecondare un incontro.
Ma è chiaro, signori!
Ed è quasi superfluo dire che il “calore” opacizzato, di un colore artefatto, quello della sciarpa appunto, sarà di lì a poco sostituito da ben altro “tepore”, da un crescente fremito proveniente non dall’esterno, ma dalle profondità dell’essere.
E con la sciarpa sparisce la “folla” di uomini, mai individuata, insignificante aggregazione di uomini e donne che si affrettano in un andirivieni insensato e inconcludente.
Ben altro “peso” assumono i passi di chi lungamente ha atteso che lo spazio prendesse forma e consentisse al seme d’Amore di poter germogliare e muoversi nell’unica direzione che gli fosse consentita: la fusione di due anime.
A ben guardare, anche il sole illividisce: non c’è bisogno di una stella per illuminare i passi degli innamorati che, tenendosi per mano, procedono sicuri e spediti, accompagnando il silenzio con il loro giovane e vergine sorriso.
Due luoghi, la campagna e il mare, circoscrivono lo spazio, ne svelano la funzione catartica, il fondo mitico ed onirico, lo spettro prismatico che filtra e dice l’immensità di un amore incondizionato che si assimila a Dio.
Cosa dire dell’uscita dalla “galleria”, sta essa a significare il ritorno alla vita, il riemergere dal buio che annichilisce e stordisce, precipitando la ragione negli abissi chiaroscurali, così carichi di orribile nero.
Siamo dunque alla dichiarazione del sogno: il mare, il castello, gli arazzi, “una spiaggia di sabbia fine puntellata di riverberi luminosi, probabilmente conchiglie d’avorio colpite dal sole”.
Sembra quasi che un’isola senza tempo, sia sorta ad ospitare e proteggere l’amore dall’arrivo di qualche nave pirata.
Stupenda l’immagine “dei riverberi luminosi…”, sembrano lance forgiate dal fuoco del Sole, e lì piantate per difendere l’Amore.
E siamo ancora al luogo che assume la valenza di un Eden salvifico.
In “quel luogo magico”, due anime sorridono e lungamente si abbandonano ad un colloquio che le solleva oltre i limiti del conosciuto.
Un luogo magico cui fa da contrappunto una “tela di ragno”, il filo delle circostanze che si ispessisce e stringe le possibilità di tenersi eternamente per mano.
Ritorna la stazione , con i freddi binari, e un treno che riconduce la vita nelle fosche atmosfere di una quotidianità che irride e soffoca il sorriso sul viso ormai contratto e rigato da calde lacrime di sofferenza e pena.
30.09.2014 Ciro Sorrentino