Il paradigma inquieto in “LA NOTTE” di Raffaele Feola

LA NOTTE

 

Albeggia, che notte

mistica è stata,

giochi d’ombra

e silenzi pervicaci,

fruscii ed incanti

veloci e fuggenti,

brandelli di sogni rotti,

mi sento irresoluto.

 

Sento spifferi e brezze,

ma non hanno essenza

solo piccoli brividi

di un caldo arrogante,

ma io copro il mio affetto

con la forza del pensiero,

celo l’incertezza del buio

e della luce e della vita

e della morte.

 

Vivere il giusto,

arrogarsi il meritato,

temere il maligno,

amare l’equo,

sfoglio le carte del destino,

nulla solo ombre a colori

con due corpi,

forse son quelle del

credere o non credere

ma seguirò il cuore,

e solo una di esse

accompagnerà

il mio percorso.

 

febbraio 15, 2014 – Raffaele Feola

 

Il titolo potrebbe lasciar pensare che la notte per il poeta sia stata un escludersi dalla realtà per rifugiarsi in un mondo sconosciuto e irrazionale, dominato da sogni caotici e confusi.

 

Ma tutto ciò è subito smentito dal primo verso, quando il poeta esclama che il suo sonno è stato come un dormiveglia, prova ne sia che ricorda nei minimi particolari la sua esperienza ascetica, il suo viaggio che gli ha impresso effetti di fresco e di quiete, ronzii e prodigi, rapidi e fuorvianti, frammenti di visioni strappate…

 

Questo chiaro discernimento provoca nel poeta una condizione di dubbio, e accende, nel contempo, perplessità e aspettative che lo emancipano a poter percepire e carpire sfumature e sensazioni, intendimenti  che sfuggono all’uomo comune, a chi riesce soltanto ad entusiasmarsi per soffi e venticelli, per atmosfere che sembrano colorare di rosa la vita e che, invece, sono solamente chimere.

 

La lungimiranza di Feola sta in questo accorgersi che suoni, luci, colori non possiedono una realtà oggettiva, anzi li riconosce e condanna come piccoli palpiti di un’arsura insolente.

 

…Il sole è ormai alto, il giorno schiavizza gli uomini nell’esercizio quotidiano del trascinarsi e dibattersi tra una miriade di inquietudini e di problemi.

 

Eppure il poeta è colui che riesce ancora ad esercitare e mettere alla prova i suoi sentimenti, e prova, prova a non lasciarsi appiattire dall’impetuoso scorrere delle ore, ore malinconiche e avvilenti che intorpidiscono e annichiliscono l’animo, schiantandolo fino a concedergli solo il gusto della lussuriosa cupidigia.

 

L’esercizio intellettuale e morale, forse anche esoterico – di un esoterismo che si carica di misticismo – libera la mente del poeta, lo abilita a riconoscere e riconoscersi nelle preoccupazioni che opprimono coloro che si dichiarano vittime del fato.

 

Feola ha coscienza del fatto che la luce conduce gli uomini a vivere, a crescere ed invecchiare, per trapassare, infine, inevitabilmente ad una dimensione altra.

 

Proprio questa lungimiranza e preveggenza lo rendono sereno o perlomeno tranquillo rispetto ad una umanità oppressa che nemmeno si rende conto di percorrere strade già disegnate da poteri occulti e, comunque, da forze inspiegabili.

 

Per tutte queste ragioni, che sono le ragioni del saggio, e che in senso assoluto rappresentano la prudenza come modo di vivere e collocarsi rispetto alla realtà manifesta, Feola individua nella forza interiore, che è slancio di ricerca e di conoscenza, l’unica alternativa possibile per svincolarsi dalla malvagità, ed inseguire la perfezione.

 

Non è un caso che egli rivendichi il giusto, preveda il male, ami il ragionevole.

 

Questo atteggiamento di ricerca lo porta a intuire che in un mondo di parvenze, dove tutto è relativo e può essere contraddetto e negato, lo stesso destino non ha luogo e motivo d’essere: davanti a lui, infatti il poeta intravede due opzioni, il prestare fede o non avere fede, come a dire che, in definitiva, tutto può accadere e determinare eventi che escono fuori da ogni logica.

 

L’unica soluzione, la sola carta che Feola può giocare contro il destino, in un mondo di controsensi ed ossimori, è quella del cuore, dell’amore, che, nella sua estrema purezza, si riconosce e si ricongiunge in altre manifestazioni d’amore.

16/02/2014 Dipartimento di Lettere e Filosofia, prof. ATTILIO BELTRAMI

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2 Commenti

  1. Attilio Beltrami Scrive:

    Caro Raffaele, l’affetto e la stima che lei ha nei confronti di Ciro Sorrentino sono così immensamente manifesti che sono io a ringraziare Lei.

    Ciro Sorrentino, e non lo affermo da collega né da amico, è sicuramente una delle voci poetiche più potenti che siano mai esistite, paragonabile a grandi autori – che solo per caso sono diventati, rispetto a lui, famosi -; parlo di Charles Bukowski, Emily Dickinson, Hermann Hesse, David Herbert Lawrence, per citarne solo alcuni.

    Un saluto sincero e sentito,

    Attilio Beltrami.

    ... on July febbraio 16th, 2014
  2. feola raffaele Scrive:

    Buona sera dott. Beltrami. Qualsiasi cosa io possa dire non …direbbe nulla….Ciro mi ha entusiasmato e coinvolto in qualcosa di grande, il mondo dell’esternazione, nel dire quello che si ha dentro “usando” la poesia e diversamente non si potrebbe. Io la ringrazio delle sue parole, non sa quanto bene mi hanno fatto. Grazie dott. Beltrami lele Feola

    ... on July febbraio 16th, 2014

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