Mia madre
Mia madre
Mia madre, ricordo che la osservavo
spesso a sua insaputa ogni notte,
curva sul suo lavoro di rattoppo
e arrideva di tanto in tanto nel veder
le nostre foto poste sul comò
con un risolino lieve ma amabile,
sembrava quasi che il suo spirito
vagasse ovunque ci fosse letizia e allegria.
Il mormorio del suo pregar parea
trastullasse i bighellonanti fantasmi
in cerca di prede facili da poter inquietare,
ma costoro con sorriso sornione
più che beffardo, ascoltavan in silenzio
quelle filastrocche, certo un po’ stonate,
ma che il cuor di mamma parea
imprimesse loro toni a dir poco soavi.
Io ero in rispettoso silenzioso,
in un cantuccio ed ella non sapeva di me,
era bella, semplice,
e il mio folle desiderio di abbracciarla
era incommensurabile, ma ero incerto,
forse perchè le mie piccole braccia
non potean avvolgerla tutta.
Gli oggetti che adornavano la nostra casa
erano semplici, oh ma molte eran fatte
dalle sue piccole mani,
nei ritagli di tempo libero, poco a dir il vero,
si perché ella avea cinque figli e tutti ,
manco a dirlo, tutti dovevan aver
“Il pezzo di carta ” come ella
chiamava il diploma.
Mamma cara quante volte ti ho sorpresa
a raccattar nei nostri piatti
gli avanzi per nutrirti,
e noi con la nostra suberba pretesa
di pietanze succulente ma dal proccacciar
impossibile per te, che mai conoscesti prosperità.
Nel mio cuore forse il posto era stretto,
non vi stava volentieri,
forse ero colui che non potevo essere amato,
son bruno di pelle, e forse per questo
ella mi chiamava sempre la pecora nera.
Raffaele Feola