Ugo Foscolo ha composto il carme “Dei sepolcri” negli ultimi mesi del 1806. Si tratta, per il poeta veneziano, di reagire e prendere posizione contro l’editto napoleonico di Saint-Cloud, emanato in Francia il 12 giugno del 1804 e reso esecutivo anche sul territorio italiano a partire dal 5 settembre 1806.
Con tale editto, per ragioni igieniche, viene imposta la sepoltura dei morti non più nelle chiese, ma in cimiteri ubicati fuori dalle mura cittadine e, per ragioni democratiche, viene ordinato, inoltre, che le lapidi dei defunti siano tutte di uguale tipo e grandezza.
Queste, dunque, le ragioni di impegno sociale e culturale che spingono Foscolo a comporre il carme. Ma nei suoi versi, 295 endecasillabi sciolti, il motivo occasionale è presto superato nella direzione di una profonda meditazione sulla tomba e sulla sua funzione consolatoria. Egli, infatti, sostiene che le tombe, certamente inutili per i morti, sono preziose per i vivi poiché esse concedono a tutti gli uomini la speranza di poter sopravvivere nel ricordo dei propri cari.
Inoltre, le tombe degli uomini illustri esercitano su tutto il popolo una funzione educatrice e uno stimolo a compiere nuove imprese degne di lode. Il Poeta, pur riconoscendo che con la morte tutto finisce e che, quindi, per il morto è indifferente il tipo di sepoltura riservatagli, afferma che le tombe sono ugualmente fondamentali per i vivi, poiché esse generano l’illusione che il defunto possa, in qualche modo, sopravvivere nel ricordo dei propri cari.