Giacomo Leopardi – Introduzione a cura di Raffaele Feola

La vita

 

Giacomo Leopardi nacque a Recanati, nelle Marche, il 29 giugno 1798. Il padre, conte Monaldi dedicò tutto il suo tempo all’istruzione del figlio visto che la moglie Adelaide si occupava della conduzione della casa, dopo che il marito aveva dilapidato parte del patrimonio di famiglia. Nella biblioteca del padre il piccolo Giacomo imparò da solo l’ebraico e il greco.

 

A soli undici anni Leopardi tradusse Le Odi di Orazio, poi seguirono sette anni di inteso studio, ciò gli causò un deperimento fisico e la sua salute divenne cagionevole.

 

Successivamente nel 1816 si dedicò completamente alla poesia: ritenne di passare dall’erudito al bello dopo alcune traduzioni degli Idilli di Mosca, del primo libro dell’Odissea e del secondo dell’Eneide. Morì a Napoli il 14 giugno del 1837.

 

Le opere

 

Leopardi considerava la poesia come un’evasione a quell’angosciante e dolorosa esperienza della vita, le stesse dottrine illuministiche ebbero un effetto negativo sulla sua esistenza e sul suo animo romantico.

 

A quindici anni scrisse La Storia dell’Astronomia, a diciassette il Saggio Sopra gli Errori Popolari; intanto apparvero i primi sintomi del male che lo rese deforme. In questo periodo furono molteplici gli interessi del Leopardi, la sua produzione letteraria meravigliò ed entusiasmò, notevole fu il suo interesse per letture di vario genere: la versatilità della sua ricerca lo portò ad avvicinarsi al contesto campo con L’Orazione agli italiani per la liberazione del Piceno.

 

Intanto la sua fantasia diveniva sempre più consapevole e toccò tutti gli argomenti cari al Romanticismo. Successivamente cominciò ad appassionarsi alle letture di Dante e Omero.

 

Intrattenne un’amicizia epistolare con Pietro Giordani, forse l’unico amico che gli prestò ascolto e lo sostenne, la loro divenne una fraterna amicizia.

 

Successivamente una malattia agli occhi lo privò anche del piacere di leggere e la sofferenza del mondo che lo circondava acutizzò il suo senso di vuoto.

 

Il Pensiero Poetico

 

Intorno al 1828 compose il Risorgimento e A Silvia.

 

Nei Canti, amaro fu il commento di se stesso : “Ho perduto tutto: sono un tronco che sente pena”.

 

Nell’opera leopardiana si cela la più profonda espressione dell’anima Romantica, le sue opere furono varie, copiose e di rara bellezza, si ricordi fra i canti le Ricordanze, La sera del dì di festa, la Ginestra, l’Infinito.

 

Capolavori che esprimono la perfezione assoluta, il rimpianto dell’amore, del sogno, il pessimismo dell’uomo e del poeta, ingannato dalla natura e sofferente per la sua infinita solitudine. Potremmo dire, in estrema sintesi, che le sofferenze acuiscono l’ingegno, il dolore e la solitudine rendono fluorescenti quelle parti di noi che altrimenti non verrebbero fuori, e gli unici beneficiari di tale intelletto spesso sono gli ignari lettori, che con minimo dispendio di forze recepiscono messaggi traboccanti di vita e non vita.

 

Nello Zibaldone sono rintracciabili tutte le sfumature e la grandezza dell’anima di un poeta la cui sofferenza interiore e fisica condizionò tutta la sua vita.

 

Finì la sua vita in una casa tra Torre del Greco e Torre Annunziata, i suoi resti vennero traslati nel 1938 nel Parco Virgiliano, a Mergellina presso la tomba di Virgilio.

 

05.10.2013 Raffaele Feola