Istanze e motivi poetici in “LA STAZIONE DELLA VITA” di Ciro Sorrentino

LA STAZIONE DELLA VITA

 

Infuria il tempo

e come turbine

 accelera

le lancette

schizzandole

verso l’istante

che dilaterà

le distanze

tra noi.

 

Presto saremo

al bivio

 dove il destino

solo per scherno

concede

l’ultimo pianto

nel freddo

che avvilisce

il cuore.

 

Indugiamo confusi

sulla grigia corsia

ma il treno

è arrivato

e cerco ancora

il dolce viso

per fissare

nell’ultima immagine

il tuo volto di fata.

 

Ora un fischio

scuote il silenzio

e ti avvii

mentre un fiume

di lacrime

ghiaccia 

parole di saluto

che già sanno

d’addio.

 

Sfioro appena

le tue mani

ma le porte

 si chiudono

è la fine

l’ultimo sguardo

 e la luce

 scompare

 nel tunnel.

 

Sopraggiunge

il mio treno

sulle fredde rotaie

che si diramano

come l’ampio delta

d’un fiume

che scioglie 

la sua acqua

nell’immenso oceano.

 

Ormai viaggiatore

senza meta

mi ritrovo

 nel buio vagone

e inizio a scrivere

per vivere

nei versi

che parleranno

di noi.

 

12.03.2011 CIRO SORRENTINO 

 

Il “nucleo fondante” di questa lirica, che è doloroso e sofferto canto, è dichiarato nello stesso titolo: LA STAZIONE DELLA VITA

 

Si avverte  subito un “malessere” di fondo, perché quella “stazione” è il capolinea che segna l’esistenza dell’individuo,
della persona che assiste impietrita all’aprirsi di spazi imperscrutabili ed inaccessibili.

 

Ritornando ai versi:

 

infuria il tempo e come turbine  accelera le lancette schizzandole verso l’istante che dilaterà le distanze tra noi”

 

è una situazione evocativa di una storia d’amore pregressa, sulla quale l’asimmetria della categorie dello spazio e del tempo si abbatte come un ciclone che recide ogni barriera per contrarre l’amore, facendolo prima implodere e successivamente centrifugare in una miriade di strade, quasi un labirintico e vorticoso disperdersi nelle zone più oscure ed inesplorate dell’universo.  D’altra parte, lo stesso orologio sembra contravvenire alle leggi della fisica marcando una indeterminatezza che accenna alle forme di una disarticolazione generalizzata e di una disarmonia senza riparo.

Tutto sembra perdersi in un vuoto sconfinato dove sembra assente ogni punto di riferimento per aderire a una qualche possibile speranza.

 

E subito dopo, perentorio come evento senza revoca, prorompe l’impeto angosciante dei successivo versi, lo svincolo fissato da un destino che nulla concede e che tutto irride:

 

presto saremo al bivio  dove il destino solo per scherno concede l’ultimo pianto nel freddo che avvilisce il cuore

 

Si avverte la pena dell’uomo disilluso da una realtà che gli mette davanti i binari per fugare e smantellare ogni sua probabilità di rimanere con l’amore della sua vita:

 

indugiamo confusi sulla grigia corsia ma il treno è arrivato e cerco ancora il dolce viso per fissare nell’ultima immagine il tuo volto di fata

 

E’ come se la vita, avanzando incanali all’orrido vero, che pietrifica ed irretisce l’essere:

 

“ora un fischio scuote il silenzio e ti avvii mentre un fiume di lacrime ghiaccia  parole di saluto che già sanno d’addio”

 

E se pur si avverte una breve apertura elegiaca sfioro appena le tue mani…”, rivolta a ricordare il tempo felice dei due innamorati, segue una irrevocabile torsione spaziale e temporale, un’esclusione dimensionale che precipita ogni fede  in un buio infinito:

sfioro appena le tue mani ma le porte  si chiudono è la fine l’ultimo sguardo e la luce scompare  nel tunnel

 

Al cadere della speranza, rimane solo una scelta al poeta quella di tuffarsi nel tempo che gli rimane, correndo contro un’alienante e squallida realtà, che si scopre come asfissiante, vago e indistinto domani:

 

sopraggiunge il mio treno sulle fredde rotaie che si diramano come l’ampio delta d’un fiume che scioglie la sua acqua nell’immenso oceano”

 

Quelli che seguono sono i versi più dolenti della lirica, quelli che dispongono l’uomo – poeta all’unica scelta possibile, al canto della sua amata fata contro l’inesorabile franare nel nulla:

 

ormai viaggiatore senza meta mi ritrovo  nel buio vagone e inizio a scrivere per vivere nei versi che parleranno

di noi

 

  04/11/2012 Dipartimento di Lettere e Filosofia, Prof. ATTILIO BELTRAMI

This entry was posted on domenica, novembre 4th, 2012 at 10:10 and is filed under Articoli. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can skip to the end and leave a response. Pinging is currently not allowed.

1 Commenti

  1. nadia salvatore Scrive:

    O Dio tutto questo mi appartiene. un bacio Nadia

    ... on July novembre 5th, 2012

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